Energia pulita, la scommessa francese nell'era del caro petrolio
14.09.05
Così, mentre i ministri delle finanze riuniti nell'Ecofin sono riusciti a rispondere al caro petrolio soltanto con un patetico appello all'industria petrolifera affinché aumenti la produzione e renda più trasparenti le informazioni sullo stato delle riserve, informazioni peraltro segretissime, Parigi propone misure concrete dopo avere già ottenuto sostanziali sconti da parte delle compagnie stesse. Come? Prima di tutto ottenendo l'attenzione delle suddette con una manovra a tenaglia architettata da Chirac in persona. La scorsa settimana, su invito del presidente della Repubblica, il ministro delle finanze Thierry Breton ha rivolto alle compagnie nazionali e straniere un discorso che può essere così sintetizzato: con l'impennata del greggio state guadagnando davvero tanto, quindi o riducete i prezzi in modo sostanzioso e vi decidete a investire nelle energie rinnovabili oppure dovremo farlo noi, semplicemente raddoppiando il carico fiscale a vostro carico. La risposta non si è fatta attendere. La compagnia nazionale Total, insieme alla britannica BP, ha annunciato dei tagli consistenti mentre la questione degli investimenti verrà discussa venerdì direttamente con Breton, che ha convocato i manager con l'intento di coinvolgere le industrie petrolifere in un piano di investimenti da un miliardo di euro destinato a produrre biocarburante e a generare elettricità dalle biomasse, ovvero dai semplici rifiuti organici appositamente raccolti. Se i petrolieri in Francia hanno fatto buon viso a cattivo gioco, ben altra risposta ha ricevuto Gordon Brown - cancelliere dello scacchiere britannico ospite all'Ecofin - dalle compagnie nazionali (Bp) e non (Royal Dutch Shell): i petrolieri hanno risposto che, stante il carico fiscale, il prezzo è giusto, checché ne dicano camionisti e contadini.
Comunque l'offensiva francese contro il caro-benzina non finisce qui. Altre misure al vaglio del governo sono affidate al ministro dei trasporti Dominique Perben, che sta lavorando a un piano di abbattimento fiscale per i trasportatori analogo a quello previsto per i contadini, da accompagnarsi a misure di riduzione dei limiti di velocità (non più di 115 chilometri orari in autostrada) per risparmiare il consumo di carburante, iniziativa ovviamente molto meno gradita al settore. Così, senza rinunciare alla propria fede neo-liberista, il governo Chirac confeziona misure concrete e articolate, e decide di buttarle sul piatto proprio nel giorno in cui l'Opec diffonde i dati dell'Annual Statistical Bulletin 2004 destinati quasi certamente ad aumentare il nervosismo in un mercato già sull'orlo di una crisi di panico.
Hanno un bel chiedere i ministri europei di aumentare la produzione. Come fa giustamente notare il Financial Times, dal rapporto dell'organizzazione che raggruppa i maggiori produttori del mondo - controllano da soli il 75 per cento delle riserve mondiali - si evince che i rubinetti sono già aperti al massimo visto che "per la prima volta in vent'anni vengono annunciati investimenti in nuove esplorazioni". Sebbene la produzione si mantenga costante l'Opec sembra aver perso quel surplus che gli permetteva di mantenere stabili i prezzi aumentando la produzione per compensare il calo d'offerta causato da guerre, rivoluzioni o disastri naturali, un ruolo di cui si è fatta carico principalmente l'Arabia Saudita e di cui ha beneficiato tutto l'Occidente. Ma se il serbatoio del mondo pompa già a pieno ritmo, come si possono compensare i barili che giacciono sul fondo del Golfo del Messico? Ai produttori non resta che cercare freneticamente altri giacimenti, con gran dispendio di soldi e di energie. Ma siamo davvero sicuri che sia la cosa migliore?
Se il portentoso flusso degli anni Novanta si trasforma in un rivolo c'è poco di che inondare un mercato destinato a oscillare in modo sempre più caotico, impennando i prezzi quando la domanda sale e poi crollando quando, a causa degli aumenti, si assiste a una riduzione dei consumi. Per quanto possa sembrare folle a noi comuni mortali, gli esperti sanno bene che oscillazioni di questo genere accompagnano il raggiungimento del cosiddetto picco, ovvero la punta massima dopo la quale la produzione comincia a calare, mentre i costi di estrazione salgono inesorabilmente. Ha davvero senso spendere una montagna di soldi nelle nuove trivellazioni e nella ricerca di giacimenti sempre più minuscoli - non se ne scopre uno sostanzioso da più di vent'anni - quando sarebbe necessario investire ogni risorsa per gestire la transizione ad altre fonti energetiche? Indubbiamente ha senso per i paesi produttori, inchiodati alla loro più importante e spesso unica risorsa dalla loro posizione geografica, ma gli europei? Ha senso continuare a stanziare milioni - di euro - per aumentare le capacità di raffinazione, costruire nuovi oleodotti o per trovare nuovi giacimenti, invece di cominciare a spostarli su di un piano a lungo termine che incrementi l'indipendenza energetica salvando, incidentalmente, anche il pianeta terra dagli effetti devastanti del riscaldamento globale? La mossa di Parigi dimostra che si può esercitare un certo controllo sulla politica energetica del proprio paese senza bisogno di assaltare la Bastiglia, ma semplicemente chiedendo, con una certa fermezza, che le compagnie petrolifere si assumano qualche responsabilità nei confronti della collettività e costringendole a ridistribuire una parte degli eccezionali profitti degli ultimi anni nella inevitabile transizione ad altre forme di energia.
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