Polli, il vero e il falso
Il virus dell'influenza dei polli? Ha ragione il ministro della sanità Francesco Storace: il problema non è se, ma quando. Tuttavia non siamo all'allarme rosso. Il rischio che l'arrivo pressocché certo (in primavera?) del virus H5N1 che provoca l'influenza aviaria generi una pandemia capace di portare a letto solo in Italia 16 milioni di persone e di ucciderne 150.000 è, per adesso, piuttosto remoto.
Anche se non nullo. Bisogna prepararsi, ma non cedere al terrore.
La contraddizione tra le due affermazioni - il virus dell'influenza aviaria arriverà in Italia, ma il rischio che provochi una pandemia è remoto, per cui occorre prepararsi, ma non spaventarsi - è solo apparente. Vediamo perché.
Che il virus H5N1 dell'influenza aviaria sia a rischio è dovuto a un motivo, per così dire, statistico e a tre condizioni biologiche. Il motivo di statistica sanitaria è che, in media, tre o quattro volte in un secolo un ceppo virale dell'influenza diventa talmente aggressivo da provocare una pandemia, ovvero un contagio che coinvolge la popolazione di molti continenti e, al limite, del mondo intero e uccide un numero molto grande di persone.
Negli ultimi cento anni una pandemia influenzale si è verificata tre volte: nel 1918-1919, nel 1957-1959 e nel 1968-1969. La prima volta, mentre in Europa era in corso la Grande Guerra, l'influenza, passata alla storia come la spagnola, causò da 40 a 50 milioni di morti.
Gli epidemiologi si aspettano che una nuova pandemia influenzale capace di uccidere milioni di persone nel mondo (e, quindi, migliaia di persone in Italia) possa prima o poi ripetersi. Ma non è solo per motivi statistici che dobbiamo temere che il virus H5N1 dell'influenza aviaria riesca a contagiare anche l'uomo e a provocare una pandemia. Esistono tre condizioni oggettive. Due delle quali si sono gia verificate.
La prima è che si è evoluto un nuovo virus, l'H5N1 appunto, finora sconosciuto al nostro sistema immunitario e per il quale la popolazione umana non ha difese pronte.
La seconda è che questo virus ha effettuato il «salto di specie», è passato dagli uccelli all'uomo e nell'organismo umano è capace di riprodursi e di provocare una malattia grave e, spesso, mortale. Dal 1996 a oggi in Asia centinaia di persone sono state contagiate e alcune decine sono morte a causa del virus H5N1.
La terza condizione, necessaria e sufficiente per scatenare una pandemia, non si è ancora verificata. O, se si è verificata, lo ha fatto solo in parte. Questa terza condizione consiste nella trasmissione diretta e facile da uomo a uomo del nuovo virus.
Nei mesi scorsi il New England Journal of Medicine ha indicato un caso in cui la trasmissione da uomo a uomo del virus H5N1 è avvenuta. Il caso è piuttosto controverso. Tuttavia un fatto è certo: finora la trasmissione del virus H5N1 non è avvenuta in maniera facile. Cosicché manca l'ultima condizione necessaria per trasformare una malattia locale in una pandemia.
Perché qui in Italia e in Europa, dunque, dobbiamo da un lato tenere alta la guardia e dall'altro non cedere alla paura? Ancora una volta, per tre motivi. Il primo è che il virus H5N1 è in rapida evoluzione. Ha contagiato molti uccelli in Asia e sta passando anche ad altre specie, ivi inclusi i maiali. I quali sono formidabili incubatori di nuovi virus e di evoluzione rapida di virus vecchi. Insomma è possibile, anzi è pressocché certo, che gli uccelli migratori, che da millenni volano dall'Asia verso l'Europa portando con loro i virus dell'influenza, nei prossimi mesi portino sul nostro continente anche il virus H5N1. È possibile anche che a portare il virus siano polli di allevamento vivi trasferiti in maniera non controllata dall'Oriente. Chi dovesse entrare in contatto con questi uccelli vivi (migratori o polli da allevamento) possa essere contagiato. E, quindi, esposto a una malattia grave e spesso mortale. È bene, pertanto, mettere a punto tutti gli strumenti di prevenzione per impedire che questo contagio da uccelli a uomo si verifichi.
Ma non siamo ancora al rischio pandemia. Perché sia abbia la pandemia occorre, come dicevamo, che il virus venga trasmesso in modo rapido e facile (per via aerea, sostanzialmente) da uomo a uomo. Questo rischio si verificherà solo e unicamente se il virus H5N1 evolverà ancora e apprenderà una qualche strategia per riprodursi in maniera rapida nel nostro organismo. Questo rischio è, per ora, remoto. Ma non nullo. Ecco perché dobbiamo approntare tutte le misure di prevenzione possibile, senza indulgere al terrore. Il rischio pandemia è, per ora, potenziale, ma non attuale.
Ma può questo rischio, ove divenisse attuale, comportare una catastrofe simile a quella della spagnola di novant'anni fa? Potrebbe H5N1 uccidere decine di milioni di persone nel mondo e decine di migliaia di persone in Italia? Non è semplice rispondere a questa domanda. Perché nell'eterna lotta tra uomo e virus, c'è una continua corsa alle armi. Ognuno ne mette in continuazioni di nuove in campo.
Fuor di metafora: molte condizioni, rispetto a novant'anni fa, sono cambiate. Alcuni fattori di rischio sono addirittura aumentati rispetto a un secolo fa. I virus, per esempio, possono diffondersi per il mondo molto più rapidamente. Oggi in poche ore - grazie ai viaggi aerei - un virus dall'Oriente (i nuovi virus nascono in genere in Asia sia perché è lì che si concentra la maggior parte della popolazione umana, sia soprattutto perché lì c'è una maggiore promiscuità tra uomo e animali) può raggiungere l'Europa o gli Stati Uniti d'America, veicolato da ignari viaggiatori. Tuttavia altri fattori di rischio sono diminuiti. Oggi abbiamo una migliore capacità di allerta e anche una migliore capacità di controllo. Sappiamo come limitare i focolai di contagio. E abbiamo la possibilità di realizzare vaccini.
Un problema è verificare chi farà prima: l'uomo a organizzare la sue difese o il virus a portare il suo attacco? Ma un altro problema, di cui pochi ahimé parlano, è come l'umanità saprà distribuire equamente le sue capacità di difesa. I vaccini e gli altri sistemi di prevenzione saranno a disposizione solo di alcuni privilegiati o saranno accessibili a tutti? Le ultime grandi catastrofi - dallo tsunami nell'Oceano Indiano all'uragano di New Orleans - ci dicono che c'è una forte disuguaglianza di accesso alle possibilità di difesa. Che i poveri pagano il prezzo più immediato e più salato.
Nel caso di una pandemia virale questa eventuale disuguaglianza oltre che assolutamente iniqua sarebbe anche illusoria per i ceti più privilegiati. Il virus supera i confini di casta più facilmente delle onde del mare e dei venti dell'atmosfera.
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