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La cattiva energia della terra

Un recente documento dell'organizzazione ambientalista internazionale Friends of the Earth, concretizza nel caso Iraq la siderale distanza della realtà da qualunque obiettivo di sostenibilità sociale e ambientale.
29 settembre 2005
karima Isd
Fonte: www.ilmanifesto.it
28.09.05

La barriera dell'indecenza nelle spese militari mondiali è stata superata un'altra volta nel 2004, quando, secondo il rapporto annuale dell'Istituto internazionale ricerche sulla pace (Sipri) di Stoccolma, il mondo ha speso in armamenti 1.000 miliardi di dollari. E' come se a ogni abitante del pianeta fossero stati sottratti 162 dollari in un anno: per sostenere l'industria della morte anziché il raggiungimento degli obiettivi più volte proclamati in materia di salute e istruzione per tutti. Uno storno di fondi verso investimenti di civiltà otterrebbe il risultato di porre fine ai conflitti armati. Ma un recente documento dell'organizzazione ambientalista internazionale Friends of the Earth, ripreso e diffuso dal movimento italiano delle Donne in nero, concretizza nel caso Iraq la siderale distanza della realtà da qualunque obiettivo di sostenibilità sociale e ambientale.

L'organizzazione ambientalista parte da un'incertezza: sul disastro umanitario iracheno si possono avanzare solo stime. Ma per avere un'idea di ciò che avviene e dell'impatto sul popolo iracheno e sul resto del mondo, è utile guardare alle informazioni sul lato ecologico.
Del disastro ambientale - e dunque umano - in Iraq, Terra terra si è occupata più volte. Del resto per lo stesso Programma ambientale delle Nazioni unite (Unep), la situazione irachena è fra le peggiori al mondo, difficile perfino da monitorare. Grande allarme anche da parte di gruppi di scienziati iracheni. E pare che i casi di cancro e gli aborti siano saliti di molto rispetto agli anni dell'embargo successivi alla prima guerra del Golfo e all'uso dell'uranio impoverito da parte statunitense; uso reiterato nel 2003.

Sul lato dell'impatto globale, il documento di Friends of the Earth offre invece calcoli precisi. L'intervento militare, ricorda l'associazione, è visto come un modo efficace per controllare le risorse energetiche e non solo. Ma il mantenimento in loco di eserciti con decine di migliaia di soldati produce inquinamento chimico e consuma moltissimo carburante. Le forze armate nel mondo consumano un quarto del combustibile «bevuto» dagli aerei: un dato significativo, vista con l'enorme e crescente circolazione di aerei non militari; ormai il settore dell'aviazione è responsabile di circa il 10% dell'effetto serra. Sempre a livello mondiale, il combustibile fossile totale necessario a fare la guerra, di terra, di cielo e di mare, e a mantenere gli apparati bellici, provoca l'emissione di circa 2 miliardi di tonnellate di anidride carbonica all'anno: sui 22 miliardi totali. Impossibile rispettare il pur modesto Protocollo di Kyoto se non si smette di iniettare petrolio nelle macchine da guerra.

Negli ultimi due anni, la guerra per il petrolio è costata 200 miliardi di dollari. Friends of the Earth stima che cosa sarebbe successo se quel denaro fosse stato destinato allo sviluppo delle fonti energetiche alternative, quelle che possono sostituire il petrolio. Ad esempio, si sarebbero potuti produrre 40 gigawatt di energia solare, capaci di fornire 1.000 terawatt-ora di elettricità. Un dato stratosferico, e per meglio visualizzarlo si dirà che esso è pari a 2,5 volte il totale di energia resa disponibile dal petrolio prodotto in Iraq in questi due anni di morte e crimini. Oltretutto, questo aumento enorme nel numero di pannelli fotovoltaici ne avrebbe abbattuto il prezzo da 20 a 8 centesimi di dollari e avrebbe potuto rendere l'energia solare competitiva e più accessibile anche nei paesi poveri. Oppure si sarebbero potuto installare dei generatori eolici in mare, producendo circa 5.000 terawatt-ora di elettricità.

Sul lato dell'effetto serra, le emissioni di CO2 si sarebbero ridotte di circa 3.700 milioni di tonnellate (per il doppio risparmio: niente operazioni belliche, e molta più energia alternativa a emissioni zero). La cifra è pari a quella che occorrerebbe all'intera Ue per mantenere le proprie emissioni all'interno dei limiti di Kyoto nei prossimi dieci anni.

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