Gli abitanti della Valle del Vajont si stringono in solidarietà con gli abitanti della Val di Susa e con il comitato NOTAV.
Il motivo è presto detto: non è possibile, abitando nella valle del Vajont, dimenticare la ferita profonda avvenuta in seguito alla realizzazione del progetto: "Grande Vajont". Questa vicenda fa memoria di una delle prime "grandi opere" realizzate in Italia. A partire dalla fine degli anni cinquanta infatti, nella nostra valle si costruì la diga più alta del mondo finalizzata allo sfruttamento delle ricche risorse idriche in chiave idroelettrica. Anche allora i dirigenti dell'impresa (SADE) e lo Stato sentivano questo progetto come un trampolino di lancio per lo sviluppo. Anche allora si determinarono in fase di progettazione e di realizzazione:
- una spinta prevalente verso gli interessi economici;
- una sottovalutazione delle problematiche idrogeologiche ed ambientali;
- un tentativo strategico di zittire e sedare qualunque volontà di protesta e/o di corretta informazione.
Tutto ciò in una valle affetta da grandi problematiche relative all'instabilità dei versanti.
La notte del 1963 questa gente e questi luoghi furono scossi dallo scivolamento di 270 milioni di metri cubi di roccia staccatisi dal Monte Toc e rovinati inesorabilmente nel bacino artificiale a monte della diga del Vajont. Un'onda di immani dimensioni devastò centri abitati e il territorio nella sua complessità. Questi fatti causarono la morte di circa 2000 persone e ferite incancellabili nelle coscienze delle genti che sopravvissero. Oggi la comunità scientifica tutta sostiene che il disastro era prevedibile e soprattutto, ora, si sa che se non ci fosse stato il lago, la frana non si sarebbe staccata con quella velocità e con quella massa. Intervenendo preventivamente si sarebbe potuto evitare questa tragedia e mettere in pratica un'effettiva interazione dell'essere umano con l'ambiente anziché l'interferenza avvenuta.
Forniamo con questa azione di solidarietà anche il beneficio di poter far memoria dei quarant'anni di storia successiva al disastro sopra raccontato. Infatti, questa storia è stata permeata da ingiustizie e da malaffare anche nelle fasi della ricostruzione.
Non possiamo per queste ragioni mancare di affiancarci alla protesta civile e nonviolenta degli abitanti della Valle di Susa contro l'inizio dei cantieri e la realizzazione del tunnel previsto, il cui tracciato interesserà ammassi rocciosi costituiti da pericolosi minerali di amianto e uranio aprendo scenari inquietanti in ambito di salute pubblica. Inoltre ci indigniamo anche per le dinamiche di militarizzazione del territorio a difesa degli interessi di imprese e Stato che si stanno in questi giorni svolgendo in Val di Susa.
Le vittime sono sempre le persone ma il problema resta: troppo spesso si dimenticano i volti e le storie e l'armonia dei luoghi offrendosi liberamente agli idoli dell'interesse economico e della sete di prestigio. Riscopriamo insieme la possibilità apartitica e la volontà generativa di esprimere la propria opinione e di pretendere il giusto approccio e la corretta informazione alle tematiche ambientali.
Alex Zanotelli (Missionario Comboniano)
Dario Bossi (Missionario Comboniano)
Giovaniemissione
PeaceLink
Luciano Pezzin (Sindaco di Erto e Casso)
Italo Filippin (Vicepresidente dell'Associazione superstiti del
Vajont)
E molti liberi cittadini del Comune di Erto e Casso.
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