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Ogm e ideologia scientista

Siamo all'inizio di una lunga battaglia di civiltà, dove trasparenza negli atti di rilevanza pubblica e rispetto della persona devono essere fondamentali. Al di là dei pericoli per la salute di tutti, è in gioco la stessa esistenza della nostra specie e delle altre, di cui l'uomo dovrebbe essere il custode e il protettore, non il carnefice e il becchino. E questa battaglia avrà qualche possibilità di successo solo se tutti capiremo che l'indispensabile premessa risiede nella tutela delle specificità e delle identità a tutti i livelli.
2 dicembre 2005
Giovanni Monastra

. Con il termine "biotecnologie" si intende una serie di attività, procedure, sperimentazioni scientifiche, ecc., inseribili per lo più all'interno di un progetto teorico, diremmo quasi ideologico, di tipo faustiano, prometeico, secondo il quale la natura, al pari di una macchina, può essere manipolata a piacere, senza particolari vincoli, salvo quelli "tecnici", di fattibilità, vincoli per altro considerati da molti ricercatori sempre superabili in un'ottica progressista e ottimista («la scienza non si ferma mai!»). È quindi una progettualità di tipo ingegneristico-fabbricativo applicata non più alla materia inerte, anche se sofisticata, ma alla vita in sé.

I vari aspetti delle biotecnologie

Esistono biotecnologie a vari livelli e gradi di invasività: infatti alcune si limitano a "riparare" le lesioni o i difetti dell'organismo "esternamente", usando tecniche d'avanguardia, altre invece vogliono operare in profondità, giungendo spesso a modificare il patrimonio genetico degli esseri. Vengono così creati microrganismi geneticamente modificati (MOGM) e organismi (piante o animali) geneticamente modificati (OGM), il cui DNA è stato manipolato per lo più mediante l'introduzione di geni provenienti da altre specie.

Le biotecnologie presentano due volti. Il primo, il più reclamizzato, è quello seducente, affascinante, pieno di promesse giudicate realizzabili in tempi relativamente brevi: la vittoria su tutte le malattie che affliggono l'umanità, la sconfitta della fame nel mondo, il prolungamento oltre ogni immaginazione della durata della nostra vita, il soddisfacimento di un desiderio fondamentale come quello della procreazione, ecc. Il secondo volto, tenuto sempre nascosto dai più accaniti sostenitori delle biotecnologie, è quello oscuro, potenzialmente minaccioso per il nostro pianeta, legato alle conseguenze a medio e lungo termine di alcune tra queste attività manipolative (non certo di tutte!), su cui hanno avanzato forti riserve sia diversi biologi di fama mondiale, tra cui Joe Cummins, Brian Goodwin, Mae-Wan Ho, sia personaggi ben noti come l'inventore del linguaggio Java Bill Joy, l'epistemologo Ervin Laszlo o il filosofo Jeremy Rifkin.

Il paradigma dello sfruttamento

Utopismo materialista, arroganza scientista, frenesia attivistica, incosciente ottimismo a priori, il tutto spesso unito, anzi perversamente commisto, con giganteschi interessi economico-finanziari, costituiscono il retroterra di molti aspetti delle biotecnologie. Secondo i sostenitori dell'ingegneria genetica, anche la bioingegneria, come qualsiasi altra scienza, non è né buona né cattiva. Dipende dall?uso che ne fa l?uomo. Si tratta delle solite affermazioni di apparente buon senso che però peccano di superficialità e astrattezza. Per nutrire dubbi sarebbero già sufficienti le non poche esperienze negative di questi anni, di cui hanno parlato anche di recente i giornali.

Abbiamo, inoltre, informazioni e mezzi sufficienti per prefigurare gli scenari futuri. Conosciamo già alcuni problemi che potrebbero sorgere, anche di grave entità e non risolvibili, come l'inquinamento genetico, la perdita della biodiversità, ecc. Ciò va detto senza allarmismi "regressisti", ma anche senza illusioni scientiste. E naturalmente ci limitiamo all'ambito della biologia, tralasciando gli aspetti di ordine etico e spirituale, di enorme importanza (vedi la clonazione umana).

Qui vanno brevemente accennate le responsabilità del darwinismo e del neo-darwinismo, che hanno generato una pseudoscienza impregnata di utilitarismo, oltre che di superbia faustiana. In questa cornice la natura non viene più vista, secondo i parametri tradizionali, come una totalità armonica, come un insieme globale ordinato. Secondo tale "scienza", invece, la natura costituisce una semplice somma casuale di parti, di fatto pensate tra loro indipendenti, parti che nel corso della evoluzione si sarebbero meccanicamente connesse a formare una realtà priva di senso e significato, non regolata già dalla sua origine da leggi interne e da vincoli formali e sostanziali. La natura per Darwin e per i suoi epigoni è solo opaca e densa materia in perenne cieca evoluzione, caos mascherato da ordine effimero. Lo stesso significato profondo di "organismo vivente" viene perduto, in quanto ne viene negata la struttura olistica, cioè unitaria e altamente complessa.

Diversamente da quanto afferma il pensiero laico-progressista, inoltre, il darwinismo non ha sepolto per sempre l'antropocentrismo --invece, nella sua ottica materialista, ha dato vita a una forma nuova e radicale di antropocentrismo: faustiano, egoista, ribelle a qualsiasi vero vincolo, limite, tabù. E se le specie viventi, uomo compreso, sono frutto dell'arbitrio del caso, poi selezionate da una meccanica necessità, cosa impedisce che oggi esse diventino il frutto dell'arbitrio della scienza, in una cornice di umanismo orizzontalista? Così giunge a compimento la trasmutazione della scienza in tecnica, cioè il passaggio epocale di una disciplina tesa alla pura conoscenza del mondo in un'altra disciplina, qualitativamente diversa, il cui fine diviene la trasformazione del mondo, sempre meno in armonia con i suoi ritmi e i suoi caratteri precipui.

Controllare le applicazioni e contenere i danni Dopo questo breve esame, viene spontaneo chiedersi: «Che fare?». A parere di chi scrive la posizione più corretta da tenersi di fronte alle biotecnologie dovrebbe essere di tipo fondamentalmente conservativo rispetto a quello che viene definito l'ordine naturale, con un certo scetticismo nei confronti del "paese della cuccagna" che ci vorrebbero far credere a portata di mano.

Al contempo andrebbe evitata qualsiasi posizione aprioristica, di tipo ideologico, contraria alla biotecnologie in quanto tali, cioè prese in modo qualunquistico e superficiale come un tutto da accettare o rifiutare in blocco. Non servono guerre totalizzanti, ma una razionale e paziente opera di "demitizzazione", che separi il desiderio legittimo (e antico quanto l'uomo) di intervenire in certi ambiti, specie in quello della salute, da una serie di mistificazioni strumentali.

Di fronte alla odierna hybris biotecnologica non si possono porre limiti interni alla ricerca scientifica, se non quelli puramente "tecnici", "operativi", in quanto in tale ambito mancano i presupposti teorici, cioè lo stesso concetto di "limite" come valore di per sé. Ma nemmeno, realisticamente, è possibile ipotizzare un limite esterno di carattere stabile e duraturo, considerando lo spirito del nostro tempo: ci si dovrà adattare, in questo periodo, a una strategia di contenimento e di controllo, di confronto anche pragmatico, quasi giorno per giorno, in una situazione di tensione continua, analizzando singoli progetti e singoli casi (le leggi in vigore, che regolano il settore, sono certo utili, ma insufficienti). La popolazione dovrà essere informata in modo pluralista, senza però scadere in demonizzazioni isteriche, che, per la loro improponibilità e inattendibilità scientifica, farebbero il gioco dei sostenitori a oltranza delle biotecnologie: serve infatti anche una forte compartecipazione popolare ai meccanismi di controllo (ad esempio, si dovrebbe pretendere, in nome della trasparenza, che gli OGM negli alimenti siano etichettati come tali anche quando presenti in percentuali minime, pure al di sotto dell'1%).

Siamo all'inizio di una lunga battaglia di civiltà, dove trasparenza negli atti di rilevanza pubblica e rispetto della persona devono essere fondamentali. Al di là dei pericoli per la salute di tutti, è in gioco la stessa esistenza della nostra specie e delle altre, di cui l'uomo dovrebbe essere il custode e il protettore, non il carnefice e il becchino. E questa battaglia avrà qualche possibilità di successo solo se tutti capiremo che l'indispensabile premessa risiede nella tutela delle specificità e delle identità a tutti i livelli.

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