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È mai possibile che la civiltà globale collassi proprio durante il corso della nostra vita o di quella dei nostri figli?

Il rischio di un collasso totale

4 gennaio 2006
Dylan Evans (Professore all’Università del West England - www.dylan.org.uk)
Fonte: www.nuovimondimedia.com
4.01.05

new york 11 settebre 2001 L’enormità degli scenari catastrofici è difficile da immaginare. È tipico della natura umana pensare che il mondo reggerà tanto a lungo quanto ha fatto finora.
È mai possibile che la civiltà globale collassi proprio durante il corso della nostra vita o di quella dei nostri figli? Fino a poco tempo fa un’idea simile era una prerogativa dei folli o di alcune sette religiose. Negli ultimi anni, tuttavia, un numero sempre maggiore di persone autorevoli e credibili mettono in guardia sul fatto che possa verificarsi un collasso globale. Alcuni di questi sono scienziati autorevoli, tra cui Lord May, David King e Jared Diamond – persone che non sono solite a esagerare o a drammatizzare.

I nuovi profeti di sventure indicano la stessa serie di minacce – cambiamenti climatici, sfruttamento intensivo delle risorse e squilibri nella popolazione sono tra i più importanti. Avvertono che ciò che spaventa di più è che molti di questi pericoli siano correlati tra loro, ognuno tende ad aggravare gli altri. È necessario affrontarli tutti subito se vogliamo avere speranze di evitare un crollo totale.

Molte civiltà – dai Maya in Messico ai Polinesiani dell’Isola di Pasqua – sono crollate nel passato spesso a causa degli stessi pericoli che minacciano noi oggi. Come spiega Diamond nel suo ultimo libro, Collapse, i Maya sfruttarono in maniera intensiva una delle loro principali risorse – gli alberi – e questo provocò loro una serie di problemi quali l’erosione del suolo, la diminuzione del terreno da coltura e la siccità. L’aumento della popolazione che aveva portato all’eccessivo sfruttamento è stato pertanto affrontato riducendo le disponibilità di cibo, cosa che ha prodotto una crescente migrazione e una sanguinosa guerra civile. Il crollo della civiltà sull’isola di Pasqua ha seguito un percorso simile, in cui la deforestazione è stata fonte di altri problemi ecologici e di guerre.

A differenza di queste civiltà estinte, la nostra oggi è globale. Nella sua accezione positiva, globalizzazione significa che una parte del mondo in difficoltà può chiedere aiuto al resto del mondo. Né i Maya né gli abitanti dell’Isola di Pasqua avevano a disposizione un simile lusso perché di fatto erano civiltà isolate. Nella sua accezione negativa, globalizzazione significa che le difficoltà di una parte del mondo si esportano rapidamente. Se la civiltà moderna crolla, il crollo avverrà ovunque. O tutti resistono o tutti cadono insieme.

Il crollo globale probabilmente seguirà lo stesso schema di base di un crollo localizzato su scala maggiore. Per quanto riguarda i Maya, le difficoltà iniziarono in una regione e poi inglobarono tutta l'intera civiltà. Oggi, poiché il cambiamento climatico rende alcune regioni più inospitali di altre, un numero sempre maggiore di persone si sposterà verso luoghi più abitabili. La crescita della popolazione renderà queste zone meno ospitali e porterà ad altre migrazioni con un effetto domino. Colossali spostamenti di persone e di capitali metteranno alle strette il sistema economico internazionale e potrebbero comprometterlo.

Nel suo libro The Future of Money, l’economista belga Bernard Lietaer sostiene che il sistema monetario globale è già molto instabile. Le crisi finanziarie negli ultimi dieci anni sono sicuramente aumentate, sia in grandezza sia in frequenza . La crisi del Sud-Est asiatico del 1997 ha sminuito la crisi messicana del 1994, ed è stata seguita dal collasso della Russia del 1998 e dalla crisi brasiliana del 1999. Questo è un altro esempio del modo in cui la globalizzazione può aggravare – piuttosto che minimizzare – il rischio di un crollo totale.

Questa non sarebbe la fine del mondo. Il crollo della civiltà moderna causerebbe la morte di miliardi di persone ma non la fine della razza umana. Alcuni Maya sono sopravvissuti, dopo aver abbandonato le loro città, ritirandosi nella giungla, dove vivono tuttora. Allo stesso modo alcuni sopravviveranno alla fine dell’era industriale riconvertendosi a uno stile di vita pre-industriale.

L’enormità di uno scenario simile è difficile da immaginare. È tipico della natura umana pensare che il mondo continuerà tanto a lungo quanto ha fatto finora. Ma vale la pena ricordare che durante gli anni precedenti il crollo della loro civiltà anche i Maya erano convinti che il loro mondo sarebbe durato per sempre.

 

 

Note: Fonte: http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,,1671576,00.html
Tradotto da Elena Mereghetti per Nuovi Mondi Media
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