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Africa: l'ultima rapina

Da anni la biopirateria è una delle maggiori fonti di arricchimento per le grandi multinazionali
22 febbraio 2006
Adriano Seu

La biopirateria è l'ultima forma di sfruttamento del continente africano in ordine di tempo, ma per le multinazionali farmaceutiche è una pratica di vecchia data. Un rapporto recentemente pubblicato, dal titolo Out of Africa: Mysteries of Access and Benefit Sharing, rileva come, grazie alle risorse della ricchissima biodiversità africana, le grandi multinazionali abbiano ricavato miliardi di dollari. E tutto, ancora una volta, senza alcuna ricaduta positiva sulla devastata economia del continente.

Il rapporto della discordia.

Gli sconcertanti dati contenuti nel rapporto redatto dal ricercatore Jay McGown sono il frutto di uno studio commissionato dall’organizzazione ambientalista statunitense Edmonds Institute e dall’African Centre For Biosafety. Dopo alcune settimane di ricerca, McGown ha scoperto che nel corso degli ultimi venti anni centinaia di prodotti naturali provenienti da tutta l’Africa sono stati utilizzati dai ricercatori delle multinazionali per sintetizzare farmaci, antiparassitari, antibatterici, cosmetici e perfino prodotti agricoli e industriali. Le scoperte dei ricercatori, subito protette da brevetti internazionali, hanno fruttato alle multinazionali ricavi da capogiro. Particolari principi attivi estratti dalle piante, piuttosto che batteri presenti in determinati habitat, sono divenuti esclusivo patrimonio intellettuale dei grandi gruppi industriali. Secondo l’autore della ricerca “si tratta di veri e propri casi di biopirateria, di furti a tutti gli effetti". Finché non si regolerà l’accesso e lo sfruttamento della biodiversità, l’Africa resterà territorio di caccia e sfruttamento per i ricercatori stranieri”.

Sfruttamento indiscriminato.

Nelle 54 pagine che compongono il rapporto di McGown vengono citati almeno 32 Stati africani che hanno subito il saccheggio di risorse biologiche, utilizzate da anni per cerimonie religiose, riti iniziatici o come medicamenti tradizionali. E così si è saputo che la Bayer, colosso farmaceutico tedesco, negli ultimi anni ha ricavato 380 milioni di dollari da un antidiabetico ottenuto da un batterio di una diga keniana, senza aver fatto nemmeno menzione del Kenya nell’articolo, pubblicato sul Journal of Bacteriology, in cui annunciava la conquista scientifica. Ci sono poi i fungicidi ricavati dai batteri degli escrementi delle giraffe in Namibia, i cosmetici a base di estratti del frutto Kokori in Nigeria, le creme e i prodotti di bellezza che l’impresa francese Dior Group ha realizzato grazie alla resina dell’albero di okouamé in Gabon, Camerun, Guinea Equatoriale e Congo. Nessuno di questi Stati ha beneficiato o beneficerà dei 13,5 miliardi di dollari ricavati dalla Dior Group, così come il Madagascar non si è visto riconoscere nulla dei 200 milioni di dollari ricavati dalla vendita di due farmaci per il trattamento della leucemia in età infantile. Il Biovigora, lo stimolante sessuale della canadese Option Biotech, ottenuto dall’Afromum stipulatum estratto in Congo, è venduto al prezzo di 30 dollari a confezione. “E’ evidente l’enorme quantità di risorse biologiche utilizzate a scopi medici e farmaceutici piuttosto che industriali. Ed è incredibile che tutto questo sia stato fatto senza il consenso delle comunità locali”, ha dichiarato Mariam Mayet, direttrice dell’African Centre For Biosafety.

Molti interrogativi ancora irrisolti.

McGown ha potuto accedere solo a documenti redatti in lingua inglese, molte volte visionabili solo via internet, mentre numerosi casi di biopirateria sono difficilmente indagabili a causa della totale assenza di documentazione. In molte circostanze è risultata evidente l’esistenza di accordi segreti tesi a tenere nascosta la natura delle scoperte fatte, per poter registrare i brevetti indisturbatamente. Ma il lato forse più problematico della vicenda è costituito dall’assenza di leggi nazionali che regolino l’accesso e lo sfruttamento delle risorse, cosa che consente alle multinazionali di agire tranquillamente. Sono troppi gli interrogativi che ostacolano un’equa ripartizione dei benefici derivanti dallo sfruttamento delle risorse biologiche scoperte nel continente africano. Le misure più urgenti sono la formulazione di norme internazionali a tutela del patrimonio biologico, i l riconoscimento dei diritti derivanti dall’acquisizione della proprietà intellettuale e l’avvio di adeguate politiche di mantenimento e protezione della biodiversità, così come l’analisi delle implicazioni etiche legate all’utilizzo delle biotecnologie. Gli enormi profitti delle multinazionali e il monopolio che esercitano sulle risorse biologiche africane sono l’ennesimo schiaffo all’endemica povertà che affligge il continente.

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