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Gli eroi di Chernobyl e la presunzione dell’uomo

23 aprile 2006
Giorgio Nebbia
Fonte: www.liberazione.it
23.04.06

Nella notte del 25 aprile 1986, venti anni fa, in uno dei quattro reattori della centrale nucleare di Chernobyl, nell’Ucraina allora sovietica, venne a cessare il flusso dell’acqua che raffreddava il nocciolo del reattore, quello in cui uranio e plutonio, bombardati con neutroni, si scindono e liberano energia ad alta temperatura. La temperatura del nocciolo si alzò, così, ad un valore tale da provocare l’incendio della massa di grafite che circondava il nocciolo, la fusione del nocciolo stesso e una esplosione che distrusse la struttura superiore del reattore. Dal tetto scoperchiato furono gettati nell’aria, per alcuni giorni, fiamme e fumi radioattivi.

Gli operatori e i pompieri presenti, e altri venuti dalle città vicine, si adoperarono per spegnere l’incendio con i pochi mezzi a disposizione, nella grande confusione di strutture contorte e crollate. Per fermare la fuoriuscita di materiale radioattivo esposero le loro vite a radiazioni mortali; morirono tutti, così come morirono i piloti degli elicotteri che a ripetizione sorvolarono il reattore ancora in fiamme per gettare al suo interno centinaia di migliaia di tonnellate di sabbia e cemento e piombo, in modo da fermare la reazione nucleare che procedeva ancora. Se non ci fosse stato il loro sacrificio, la radioattività delle polveri e gas che si sparsero e ricaddero nell’Europa centrale e meridionale, fino in Italia, avrebbe avuto conseguenze ben più disastrose.

La storia è raccontata da Grigori Medvedev nel libro “Dentro Cernobyl”, pubblicato nel 1996 dalle edizioni La Meridiana di Molfetta, un libro che dovrebbe essere letto nelle scuole perché è una specie di “Cuore” del ventesimo secolo. Il recente libro di Igor Kostin, “Chernobyl, confessioni di un reporter”, Ega Editore, Torino, contiene una ulteriore drammatica documentazione fotografica delle ore e delle settimane della grande paura e degli sforzi dei tecnici e degli operai impegnati a fermare la fuoriuscita della radioattività. Qualche città italiana farebbe bene a intitolare una strada o una piazza ai “martiri di Chernobyl”, agli eroi che, in quelle terre lontane, a prezzo della loro vita, evitarono che fossimo contaminati in modo molto più grave e salvarono tante delle nostre vite.

Le zone intorno al reattore di Chernobyl, ancora oggi contaminate dalla radioattività, furono fatte sgombrare dalla popolazione; molti abitanti di tali zone erano stati avvelenati dalla nube radioattiva; molti bambini e ragazzi portano ancora nel loro corpo le conseguenze di tale contaminazione.

Il disastro fu accompagnato da episodi di generosità e solidarietà internazionale. Il chirurgo americano Robert Gale, specialista di trapianti di midollo osseo, corse subito in Ucraina e per molto tempo operò i malati più gravi; anche questa storia è raccontata in un libro dello stesso Gale e in un film dal 1991, “Chernobyl”, del regista Anthony Page, che ancora circola in qualche televisione e che meriterebbe di essere visto da tanti italiani.

Ho voluto ricordare i molti episodi di solidarietà e generosità internazionale - per anni molti bambini ucraini trascorrono dei periodi di vacanza in Italia, ospiti di organizzazioni di volontariato - piuttosto che le squallide e scomposte reazioni che si ebbero in Italia dopo l’incidente, in quell’aprile e maggio di venti anni fa.

La catastrofe di Chernobyl mostrò che le denunce del movimento antinucleare non erano fanfaluche di ecologisti: davvero l’energia nucleare non era né sicura, né pulita. Apparve, in quei mesi, che mancavano strutture pubbliche in grado di rispondere alla legittima domanda dei cittadini: la radioattività della nube fuoriuscita dalla centrale rappresentava un pericolo per la nostra salute? dove? che cosa bisognava mangiare e che cosa bisognava evitare?

Le industrie e i partiti filonucleari, che stavano premendo per costruire centrali nucleari in Italia - quella di Montalto di Castro, nel Lazio, era mezza completa, altre avrebbero dovuto essere costruite in Puglia, nel Molise, in Piemonte, in Lombardia - si resero conto che l’avventura nucleare rischiava di finire e fecero credere che la catastrofe di Chernobyl era avvenuta perché i russi erano tecnicamente arretrati, perché erano stupidi comunisti, e sciocchezze simili.

Si ebbero anche improvvise conversioni da posizioni filonucleari a posizioni antinucleari; insomma una brutta storia italiana che impedì di prendere decisioni sensate e rapide nell’interesse della salute dei cittadini. Naturalmente, come sempre avviene quando ci sono disgrazie collettive, ci fu chi speculò andando a comprare grano radioattivo a basso prezzo per rivenderlo fraudolentemente in Italia; ci fu chi importò rottami metallici radioattivi, finiti poi chi sa dove. Anche questo traffico internazionale di “merci radioattive”, in mancanza di controlli e di corrette informazioni all’opinione pubblica, fu una delle conseguenze di Chernobyl.

Il referendum del novembre 1987 dimostrò che la maggioranza degli italiani del nucleare aveva avuto abbastanza, e in tutto il mondo ci fu un rallentamento nella costruzione di centrali, anche se la scelta di ricorrere al nucleo atomico per le bombe atomiche e per l’elettricità commerciale continua a fare sentire i suoi effetti nefasti sotto forma di incidenti e inquinamenti nell’estrazione e nella produzione dell’uranio e nel suo arricchimento, nell’uso militare dell’uranio impoverito, a cui vanno aggiunti i pericoli associati all’esistenza di trentamila bombe nucleari negli arsenali mondiali e dei reattori di circa 450 centrali nucleari, alla necessità di seppellire, non si sa dove, i residui radioattivi delle centrali e della fabbricazione delle bombe. Vorrei concludere con le parole del libro di Medvedev prima citato: "Gli eroi e i martiri di Chernobyl ci hanno fatto comprendere l’impotenza dell’uomo di fronte a ciò che l’uomo stesso crea, nella sua presunzione di onnipotenza". E c’è qualcuno che ha ancora il coraggio di continuare a parlare di centrali nucleari, di armi nucleari, spacciandole, magari, come strumenti ecologicamente virtuosi, come strumenti di pace?

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