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Il disimpegno degli Usa alimenta il riscaldamento globale

Nel 1992, quando George H. W. Bush firmò la Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico, il pericolo riscaldamento globale era già evidente. Il rischio ora può essere scongiurato solo se non sprecheremo altro tempo
27 giugno 2006
Elizabeth Kolbert (The Los Angeles Times)

Il 12 giugno 1992 il presidente George H.W. Bush, presente al Summit sulla Terra di Rio de Janeiro, firmò la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico. La convenzione fissava l’obiettivo di evitare l’ingerenza “dannosa” dell’uomo nel sistema climatico. Dopo avervi aggiunto il suo nome, il presidente esortò i leader mondiali a unirsi a lui “per tradurre le parole qui pronunciate in azioni concrete”. Successivamente, quando sottopose il trattato all’esame del Senato, venne ratificato all’unanimità.

Domani saranno 14 anni da quando Bush padre firmò la Convenzione Quadro, e gli Stati Uniti rimangono impegnati, almeno in teoria, a scongiurare dei cambiamenti climatici pericolosi. Sfortunatamente, è difficile conciliare questo impegno con quanto effettivamente accaduto da allora.

Dal 1992, le emissioni americane di biossido di carbonio – la causa principale del cambiamento climatico – sono continuate ad aumentare più o meno allo stesso ritmo di prima. Nel frattempo, nonostante i giapponesi e gli europei si siano impegnati a ridurre la produzione di biossido di carbonio, il Presidente George W. Bush ha bloccato tutti i tentativi di imporre dei limiti alle emissioni negli Stati Uniti. Anzi, l’Amministrazione americana è arrivata a opporsi agli sforzi di quegli stati che, come la California, stanno tentando di ridurre le emissioni per conto proprio.

Quando l’Amministrazione ha fornito una spiegazione a questa contraddizione – la promessa di impedire un pericoloso cambiamento climatico da un lato e il blocco di ogni tentativo di arginare le emissioni dall’altro – questi stati hanno insistito sul fatto che l’incertezza riguardo al cambiamento climatico renderebbe ogni azione prematura. A causa della natura del riscaldamento globale, questo approccio apparentemente cauto si rivela essere noncuranza della peggior specie.

Il sistema climatico è altamente inerziale; sono necessari numerosi decenni perché cambiamenti già innescati divengano visibili. Gli scienziati probabilmente non saranno in grado di determinare quale preciso livello dei gas serra scatenerà, ad esempio, lo scioglimento del ghiacciaio continentale della Groenlandia fino al momento in cui quel livello non sarà stato superato. Tuttavia, come può testimoniare chiunque abbia provato a spingere un’automobile impantanata, i sistemi difficili da mettere in movimento tendono anche a essere difficili da arrestare. Anche se potrebbe sembrare ragionevole aspettare di essere sicuri prima di agire in qualsiasi modo, l’attesa rischierebbe di compromettere l’efficacia dell’intervento stesso: nel momento in cui sapremo con certezza che il ghiacciaio continentale rischia di scomparire, sarà troppo tardi per invertire il processo.

Almeno grazie alle prime scene del film “An Inconvenient Truth”, la maggioranza degli americani ha probabilmente compreso bene che il cambiamento climatico potrebbe rivelarsi “pericoloso”. Tra le altre cose, un possibile aumento della temperatura sarebbe sufficiente a distruggere interi ecosistemi, causare estinzioni di massa o danneggiare le scorte mondiali di alimenti.

La dissoluzione del ghiacciaio continentale della Groenlandia o di quello dell’Antartide Occidentale è spesso indicata come esempio della plausibile catastrofe. Se uno dei due si dovesse sciogliere, il livello dei mari nel mondo si innalzerebbe di almeno 4,5 metri. Se entrambi si dissolvessero, il livello globale dei mari si innalzerebbe di circa 13,5 metri. Un innalzamento di un solo metro e mezzo farebbe sprofondare buona parte della Florida meridionale sotto il livello del mare.

A 14 anni di distanza da Rio, però, sembra che non ci si renda effettivamente conto del reale pericolo. L’effetto dell’aggiunta dei gas serra all’atmosfera è quello di allontanare sempre più il pianeta da quello che gli scienziati definiscono “equilibrio energetico”. Perché l’equilibrio possa essere ripristinato, l’intero pianeta deve riscaldarsi. Si tratta di un processo lento, soprattutto perché gli oceani hanno un’enorme capacità di assorbimento del calore. Questo è uno dei motivi per i quali, nonostante abbiamo già scaricato miliardi di tonnellate di biossido di carbonio nell’aria negli ultimi 50 anni, stiamo iniziando a sentirne gli effetti soltanto adesso.

Nel frattempo, va detto – nonostante l’Amministrazione Bush preferisce far finta di nulla – che l’incertezza riguarda entrambe le visioni. Come l’Amministrazione americana fa notare, gli Stati Uniti spendono circa 2 miliardi di dollari all’anno per la ricerca sul cambiamento climatico. È possibile che man mano che gli scienziati ne sapranno di più sul funzionamento del clima, scopriranno che la soglia di un cambiamento pericoloso è più lontana di quanto stimato, e la politica di non azione di Washington arriverebbe a essere giustificata. Ma è possibile anche il contrario. In realtà, quasi tutto quello che è stato recentemente scoperto sul sistema climatico tende a suggerire che la soglia è più vicina di quanto si possa sospettare.

A febbraio, ad esempio, un gruppo di scienziati della NASA e dell’Università del Kansas ha annunciato che la quantità di ghiaccio nei ghiacciai della Groenlandia è più che raddoppiato negli ultimi dieci anni. Il mese successivo alcuni ricercatori dell’Università del Colorado, utilizzando i più sofisticati dati disponibili dai satelliti, sono giunti alla conclusione che l’Antartide sta perdendo ghiaccio. La scoperta è particolarmente preoccupante perché gli stessi esperti di modelli climatici avevano predetto che, man mano che le temperature fossero salite, il continente avrebbe visto invece crescere lo strato di ghiaccio, dal momento che l’aria più calda avrebbe prodotto maggiori nevicate.

“Quello che si può dire della storia dei modelli climatici è che si è rivelata conservatrice e ha sottostimato gli effetti dei cambiamenti”, ha osservato di recente Ken Caldeira, un ricercatore del Carnegie Institution Department of Global Ecology dell’Università di Stanford.

I dati più preoccupanti vengono probabilmente dagli studi del passato. Alla fine dello scorso anno alcuni ricercatori europei hanno pubblicato un’analisi di un nucleo di ghiaccio antartico contenente informazioni sul clima che risalivano a 650.000 anni fa (Il ghiaccio contiene piccole bolle di aria intrappolata, ognuna delle quali costituisce un campione di un’antica atmosfera). Il nucleo mostra come i livelli di biossido di carbonio attuali siano già più elevati di quanto lo siano stati in qualsiasi momento di quell’intero arco di tempo.

Gli scienziati ritengono che l’ultima volta che i livelli di biossido di carbonio siano stati paragonabili a quelli attuali è stato 3 milioni e mezzo di anni fa, durante quello che è noto come il periodo caldo del Pliocene Medio. È probabile che non siano stati di molto superiori sin dall’Eocene, circa 50 milioni di anni fa. Nell’Eocene, i coccodrilli scorrazzavano nel Colorado e il livello dei mari era di quasi 90 metri superiore a quello di oggi. Uno scienziato della National Oceanic and Atmospheric Administration mi ha detto, scherzando solo in parte: “È vero che abbiamo avuto livelli più alti di biossido di carbonio in passato. Ma allora, ovviamente, avevamo anche i dinosauri”.

Nel 1992, quando George H.W. Bush firmò la Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico, i pericoli del surriscaldamento globale erano già evidenti. Adesso lo sono ancora di più. Attendere che siano ancora più certi mentre i livelli di biossido di carbonio continuano a salire non è prudente; è esattamente il contrario. Un cambiamento del clima con serie conseguenze può forse essere ancora scongiurato. Ma non se sprecheremo altri 14 anni.

Elizabeth Kolbert, giornalista del 'New Yorker' dal 1999, è l’autrice di Cronache di una catastrofe Alla scoperta di un pianeta in pericolo: dal cambiamento climatico alla mutazione delle specie (“Field Notes from a Catastrophe: Man, Nature and Climate Change”), tra le prossime uscite di Nuovi Mondi Media.


Note: Fonte: Los Angeles Times
Traduzione a cura di Giusy Muzzopappa per Nuovi Mondi Media
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