Il petrolio inquina e sta per finire, una ricetta per uscirne vivi
Una scrittura fluida, appassionata e appassionante malgrado il tema sia dei peggiori. Mettere insieme il riscaldamento globale e la fine del petrolio come fa Jeremy Leggett nel suo Fine corsa - Sopravviverà la specie umana alla fine del petrolio? (Einaudi, pp. 387, euro 15,80) è un esercizio rischioso. In genere è sufficiente uno solo di questi argomenti per mettere in fuga il più impegnato lettore soprattutto ora che stiamo vivendo quelli che l’autore chiam, “gli anni della complicità”: se prima non avevamo capito, oggi governi, compagnie e privati cittadini sanno che lo spreco energetico ha conseguenze pesantissime, ma tutti hanno deciso di far finta di niente. Fino a quando? E soprattutto, come ne usciamo? Non senza individuare i diretti responsabili, risponde l’autore senza mezzi termini.
Bisogna dire che Leggett ha tutte le carte in regola per parlare dell’argomento. Ha lavorato per l’industria petrolifera e poi, disgustato, è passato al nemico. Come uno dei massimi esperti di riscaldamento globale e direttore scientifico di Greenpeace Uk ha seguito i negoziati sul clima fin dalla pubblicazione del primo rapporto dell’Intergovernamental Panel on Climate Change, l’organismo intergovernativo istituito proprio per occuparsi del cambiamento climatico e che, nel 1990, sembrò scuotere il mondo. «Il sottoscritto - scrive Leggett - è uno dei due scienziati appartenenti a gruppi ecologisti ritenuti sufficientemente qualificati per poter assistere di persona alla presentazione finale del rapporto che diede vita ai trattati sul clima, rapporto che, lo ricordo, fu stilato dai più importanti studiosi del mondo». E aggiunge: «Nel 1990 avevo trentasei anni e, pur avendo viaggiato parecchio, con senno di oggi devo ammettere che ero piuttosto ingenuo».
Oggi Jeremy Leggett ha qualche anno di più ma non sembra affatto rassegnato, malgrado gli anni trascorsi a combattere contro le enormi pressioni della lobby petrolifera che sono riuscite a rallentare e depotenziare il Protocollo di Kyoto. La sua recente scoperta, l’esaurimento del petrolio - una questione che, per sua stessa ammissione, il geologo aveva inizialmente sottovalutato - lo ha spinto ad allacciare i contatti con gli studiosi del picco visto che i due problemi «lungi dall’annullarsi a vicenda si sommeranno, creando un effetto domino dalle proporzioni agghiaccianti» che vanno dal tentativo di occupare gli ultimi giacimenti manu militari allo sfruttamento selvaggio di ogni risorsa, come ad esempio quei 3.500 miliardi di tonnellate di carbone che Leggett considera un vero e proprio “killer”. Ma come arginare il riscaldamento globale e sopravvivere alla fine del petrolio, tanto per parafrasare il sottotitolo?
In primo luogo individuando i principali artefici di questo disastro ovvero quelli a cui bisogna strappare di mano il timone se si vuole riuscire a invertire la rotta prima del disastro. Prima cioè che la vita sulla “perla azzurra”, come Leggett chiama la terra, venga definitivamente compromessa dagli uragani, la desertificazione, l’innalzamento dei mari o un’altra delle altre devastanti conseguenze dell’innalzamento della temperatura. Ed è qui che Fine corsa si distingue dalle decine di libri sul petrolio che stanno venendo pubblicati nel mondo anglosassone. A differenza dei suoi colleghi statunitensi - anche loro quasi tutti dei fuorusciti dall’industria petrolifera - il britannico Leggett non ha paura di parlare di politica e fa nomi e cognomi. In un’avvincente carrellata nella storia del petrolio Jeremy Leggett racconta dei primi tentativi di arginare lo strapotere del complesso petrolifero da parte del governo americano, tentativi che condussero allo smembramento della Standard Oil. Dall’impero di Rockfeller nacquero, com’è noto, le Sette sorelle dell’era Mattei, ora ridotte a cinque mega-compagnie che sono più ricche della maggior parte delle nazioni, ExxonMobil, Bp, ChevronTexaco, TotalFinaElf e Shell. «All’inizio del XX secolo la gente, almeno negli Stati Uniti, mostrava interesse per la politica d’intervento del governo nella lotta allo strapotere delle grandi compagnie petrolifere. Oggi, nella nazione a più alto consumo di petrolio del mondo, le compagnie petrolifere sono il governo».
Che fare, dunque? E’ presto detto: ridurre, anzi, abbattere i consumi e le emissioni inquinanti prima che le conseguenze del riscaldamento globale mettano in ginocchio l’economia mondiale e il suo braccio finanziario, le assicurazioni che già non riescono a coprire i danni prodotti dal dissesto climatico. Qualunque soluzione sostitutiva a breve termine, dal carbone “pulito” alla spasmodica ricerca di nuovi giacimenti, è destinata a fallire e ad aggravare ancora di più la crisi ecologica in cui versa il nostro pianeta. E il nucleare, fiore all’occhiello di Tony Blair? Basta la domanda per spegnere il sorriso di Leggett: «E’ semplicemente una follia» risponde, «prima di tutto ogni euro speso nel nucleare è un euro sprecato perché viene sottratto agli investimenti sull’efficienza energetica e sulle fonti rinnovabili. Il secondo problema è il tempo. Non posso credere che questa gente parli sul serio quando sostiene che in 10 o 20 anni il nucleare risolverà il problema. Stiamo parlando di dati, non di opinioni, e i dati smentiscono questo tipo di affermazioni. C’è poi il problema di introdurre una tecnologia che alimenta la proliferazione delle armi, o la questione si pone solo quando lo fa un paese d’interesse strategico come l’Iran? Senza considerare il problema più grave: nessuno ha trovato un modo per smaltire le scorie già esistenti, figuriamoci quelle future. Per me parlare ancora di nucleare è letteralmente privo di senso». Insomma non bisogna costruire più niente? «Efficienza energetica - dice lo scienziato - è l’unica cosa che dobbiamo perseguire, sia dal punto di vista dell’edilizia che in tutti i settori produttivi. Cambiando modo di costruire possiamo dimezzare in pochi anni i consumi, una cosa che nessuna centrale nucleare o gassificatore può garantire. Efficienza energetica e rinnovabili sono più che sufficienti, ma bisogna cominciare la riconversione subito, prima che sia troppo tardi».
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