Il buco nero dei rifiuti campani
Emergenza rifiuti targata estate 2006, l'ultima in ordine di tempo per la Campania che in 13 anni di commissariamento ne conta almeno una per stagione. L'ammucchiata di sacchetti, materiali organici e puzzolenti, ha solo sfiorato Napoli. Nella terza città d'Italia l'immondizia viene prelevata con regolarità per essere portata nei pochi fazzoletti di terra rimasti disponibili nelle discariche. Così, agli occhi degli abitanti del centro storico e dei quartieri residenziali, l'allarme monnezzapotrebbe benissimo essere una «bufala» estiva. Le strade sono pulitissime e di notte l'Asìa, la società comunale di prelevamento, provvede perfino a disinfettare i contenitori con camioncini speciali.
Basta però spingersi ai limiti del perimetro cittadino, nelle banlieuespartenopee o anche solo nelle strade più periferiche, per scontrarsi con cumuli di spazzatura, trincee invalicabili e irrespirabili. Più in là, nei comuni della provincia, l'inferno. Famiglie costrette a chiedere l'intervento della forza pubblica per riuscire a uscire dalle abitazioni, com'è accaduto alcuni giorni fa a Pianura e nel comune di Pozzuoli; quintali di rifiuti dati alle fiamme con decine di chiamate ai vigili del fuoco (104 nella sola notte di venerdì), dispersione di diossina nell'ambiente già saturo di monossido e per la stagione secca. Ora la paura è quella di un epidemia di colera, come nel 1973.
Gli amministratori, il commissario all'emergenza Corrado Catenacci, e il neonominato - dal governo - supercommissario di tutti i commissari all'immondizia, il generale Roberto Jucci (lo stesso del disastro di Sarno), sperano che questi ultimi giorni di luglio volino in fretta, che le città si svuotino per l'esodo estivo, in modo da dare respiro alle uniche valvole di sfogo dello smaltimento: 7 discariche di Cdr - un «anagramma» che indica impianti per combustibile da rifiuti.
Ma a settembre cosa accadrà? Perché è proprio questa la ragione dell'incapacità, a differenza di altre regioni, di smaltire 2,4 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti annualmente solo nel napoletano. In Campania ci sono solo le discariche. Sette «storici» impianti che dovrebbero produrre materiale adatto all'incenerimento, ma che sono sotto inchiesta proprio perché non a norma; in alcuni casi perché in odore di camorra. Qui viene riversata l'intera raccolta, che può essere solo trasportata in altre regioni.
Così la mappa dei buchi neri tritaschifezza lascia poche speranze che la crisi possa essere passeggera. A Giuliano la discarica è stata già sequestrata e riaperta; a Tufino (Na), Casalduni (Bn), Pianodardine (Av), Battipaglia (Sa) gli impianti erano stati chiusi perché saturi, e poi riattivati causa emergenza. Restano Caivano (Na) e S. M. Capua Vetere (Ce), che sicuramente non possono sopportare da soli il peso regionale.
Nel documento ufficiale per il nuovo piano rifiuti, approvato da alcuni mesi, i motivi del perenne disagio vengono attributi a «difficoltà nella realizzazione impiantistica; insufficienti risultati della raccolta differenziata; difficoltà nel superare l'eccessivo frazionamento nella gestione locale del ciclo dei rifiuti; difficoltà nella localizzazione degli impianti a supporto del ciclo (compresi quelli a sostegno della raccolta differenziata)». Leggendo, ma non troppo, tra le righe significa che in Campania non c'è a tutt'oggi nessun altro impianto se non le discariche. Nessuna «fabbrica» per il riciclaggio della raccolta differenziata, nessuno stabilimento per la frazione compostabile, per il recupero del secco, per la trasferenza delle frazioni non recuperabili, per il trattamento dei materiali ingombranti.
L'errore, secondo Vito Nocera, capogruppo del Prc in regione e punto di riferimento della battaglia per la costruzione di un sistema completo e virtuoso, «è stato quello di puntare esclusivamente sul ciclo industriale». La raccolta differenziata, per esempio, è scesa nei capoluoghi dal 10 all'8% nel 2006; ma non sarebbe cambiato nulla se fosse aumentata, per miracolo, fino al 35% previsto entro il 2001 dal decreto Ronchi. In regione il materiale non sarebbe stato riciclato, perché in 13 anni non è stato costruito un solo stabilimento per il recupero dei materiali. I cittadini dunque non dovrebbero essere meravigliati se parte della loro raccolta differenziata viene riversata nei cdr e diviene talquale: mandarla in altre regioni per rispettare l'ambiente diventa troppo complesso e costoso. Così ben venga l'ordinanza antiemergenza di Romano Prodi, che a fine giugno ha previsto sanzioni contro i comuni inadempienti (compito di verifica ora affidato a Jucci) e stanziato 43 milioni di euro per la Campania. Ma bisognerà aspettare anni per vedere realizzati tutti gli impianti che servono alla regione per completare il ciclo. «E' per questo che ormai non si può più parlare di emergenza - spiega ancora Nocera - ma di un dato strutturale economico regionale».
Ed è anche per questo che considerare l'incenerimento la panacea del problema rifiuti sarebbe solo un'ingenuità. Come confermato anche da un'audizione di Corrado Catenacci alla commissione bicamerale sul ciclo rifiuti, gli otto milioni di ecoballe (ufficiosamente si parla di 30 milioni) che giacciono nelle discariche, occupando 1 milione e 200mila metri quadrati di superficie, non sono a norma e non possono essere termodistrutte.
Perché allora costruire un unico termovalorizzatore ad Acerra (il secondo, quello di S. M. La Fossa, è all'anno zero)? Per quale ragione imporlo con la forza alle popolazioni locali che già pagano la penalizzazione di un territorio con il più alto tasso di inquinamento regionale e di avanzamento -in termini percentuali - delle leucemie, per la presenza di quantità eccessive di diossina nella catena alimentare? Perché, all'epoca dell'individuazione dei suoli, la Fibe di Cesare Romiti - ora estromessa dall'appalto per frode contrattuale - aveva già acquistato i suoli e ottenuto le concessioni, era il gestore unico, aveva dalla propria un contratto esclusivo e dettava legge. Ora così deve essere. A nulla sono valse le 27 prescrizioni sull'impatto ambientale dei precedenti governi, le rivolte dell'estate 2004, i presidi, l'opposizione del movimento cittadino: i lavori sono partiti lo scorso anno e l'opera dovrebbe terminare nel 2007. Poi qualcuno dovrà spiegare agli acerrani che il 30% dei materiali bruciati si trasformerà in ceneri altamente tossiche da «sistemare» in discariche speciali. Dove? Probabilmente non lontano dallo stabilimento: sempre per opportunità di mercato.
Il ministro dell'ambiente Alfonso Pecoraro Scanio ha recentemente bacchettato la sindaca di Napoli: «Capisco la buona fede della Iervolino, ma esistono tecnologie più avanzate dell'incenerimento, come il ciclo a freddo dei rifiuti». Qui però si tratta di costruire fabbriche e impianti per ogni passaggio funzionale allo smaltimento. «Grandi opere» che sono solo su carta, ma che nessuno sa dove, come e quando partiranno. Nel frattempo c'è un contributo europeo all'emergenza di 110 milioni di euro, ma anche un'impresa pubblica - la Pomigliano Ambiente - che gestiva tutta la parte umida dell'immondizia, colpita in settimana da interdittiva antimafia.
Venerdì Guido Bertolaso ha annunciato il commissariamento di tre consorzi di bacino. C'è un appalto di 4 miliardi e mezzo di euro per gestire nei prossimi 20 anni l'affare rifiuti, ma non ci sono aspiranti: il 31 maggio la gara è andata deserta. Ci sono 2.300 lsu pagati dalla regione, rimasti inutilizzati per dieci anni, cui non si sa bene che lavoro affibbiare. Ci sono 180 tra consulenti e esperti pagati migliaia di euro l'anno, compreso servizi a cinque stelle che non hanno risolto un bel nulla. Da Bruxelles hanno spedito all'Italia 4 procedure di infrazione per aver contravvenuto alle norme comunitarie ambientali: tre in materia di discariche per Campania e Puglia. Napoli si è aggiudicata la maglia nera continentale di Legambiente per l'ecosistema urbano. La coperta delle soluzioni alla giornata o del trasporto dei rifiuti in altre regioni attraverso microaccordi, è diventata troppo corta: come la tirano, restano scoperti.
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