Intossicati dai rifiuti di Spagna e Olanda
Un cargo battente bandiera panamense, un paese africano sempre in bilico tra guerra civile e crisi politica, rifiuti tossici scaricati illegalmente, una nube che infetta la città, alcuni morti e circa 1500 persone contagiate. Sembra il canovaccio di nuova serie tv o di un nuovo colossal hollywoodiano, ricco di psicosi chimiche e di effetti speciali. Invece è quanto sta accadendo in Costa d'Avorio, nella città principale del paese, Abidjan.
Non si sa esattamente come siano andate le cose. Quello che si sa è che in diverse parti della città da qualche settimana l'aria è impestata di un odore fastidioso e persistente. E che, qualche giorno fa, sempre più persone hanno iniziato a presentarsi negli ospedali della città lamentando sintomi strani e più o meno gravi: bruciore e lacrimazione degli occhi, sangue di naso, problemi all'apparato digerente, difficoltà respiratorie, irritazioni dell'epidermide. Lunedì, la notizia: rifiuti tossici in non si sa bene quale quantità sono stati scaricati illegalmente in (pare) sette aree della città.
Da quando lo scandalo è scoppiato, notizie sempre più preoccupanti si susseguono a ritmo continuo, mentre gli ospedali continuavano a ricevere centinaia di pazienti con disturbi simili. Secondo i giornali locali, due bambini sono morti dopo aver inalato le sostanze tossiche. E mentre le strade venivano occupate da gruppi di giovani, che a partire dalle zone intorno alla maggiore discarica e allo zoo di Abidjan hanno costruito barricate in protesta per quanto accaduto, martedì il ministro della sanità è apparso in televisione nel tentativo di rassicurare la popolazione, a dire che le autorità stanno cercando di individuare i siti in cui le sostanze tossiche sono state scaricate. Mercoledì, infine, le programmazioni della televisione di stato sono state più volte interrotte per lanciare appelli ai dimostranti, affinché non ostacolino le operazioni di soccorso e permettano quindi al personale sanitario e agli esperti di raggiungere le aree più colpite. Poche ore dopo, un'altra notizia dirompente: il governo guidato da Charles Konan Banny ha rassegnato le dimissioni, travolto dallo scandalo. Il suo ultimo atto è stato aprire un fondo speciale per pagare le cure alle vittime della nube tossica.
Come sia iniziato tutto non è completamente chiaro. Quello che si è riusciti a ricostruire è che i rifiuti - che secondo un rapporto del Centro ivoriano contro l'inquinamento (Ciapol) contengono idrogeno solfuro, «una sostanza tossica che può portare a morte immediata se inalato», e mercaptano - sono stati scaricati qualche settimana fa dalla «Probo Koala», un cargo battente bandiera panamense che trasportava prodotti petroliferi - secondo Greenpeace caricati in Spagna - per conto della holding olandese Trafigura Beheer BV. La quale si dice preoccupata per la sorte della popolazione colpita e si dichiara ovviamente estranea a qualsiasi illecito. I giornali ivoriani hanno già ventilato l'ipotesi che dietro tutto l'accaduto ci siano affari sporchi e corruzione, con giri di bustarelle da milioni di euro. Ma per ora fare delle congetture credibili su chi siano realmente i responsabili è prematuro.
Non è la prima volta che il continente africano è toccato da scandali legati allo smaltimento di rifiuti tossici in arrivo soprattutto dai paesi più sviluppati. A inizio 2005, qualche settimana dopo lo tsunami nell'Oceano Indiano, Nick Nuttal, portavoce dell'agenzia Onu per l'ambiente (Unep), aveva denunciato la contaminazione di parte della costa della Somalia. Le onde provocate dallo tsunami, aveva detto Nuttal, hanno distrutto i fusti contenenti rifiuti tossici nascosti in fondo al mare o interrati nella sabbia della battigia. Fino a quel momento in molti avevano avanzato l'ipotesi che questi fusti esistessero, ma senza vere prove, arrivate invece con l'onda anomala.
L'Africa come discarica dei rifiuti tossici dei paesi ricchi? Forse, anche se il problema non riguarda certo il solo continente africano. Ma è reale. Tanto che istituzioni nazionali e sopranazionali si stanno muovendo già da anni per porre rimedio.
Molti stati africani hanno sottoscritto la Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti nocivi, adottata nel 1989, e quella di Bamako, entrata in vigore nel 1998. Ma evidentemente sottoscrivere impegni internazionali non basta, soprattutto se molti governi evitano poi di ratificare gli accordi presi in modo da poter continuare liberamente a darsi da fare con business molto lucrativi.
(Misna)
La Probo Koala, la nave all'origine dello scandalo, appartiene a una compagnia greca ma batte bandiera panamense. Secondo Greenpeace, la nave avrebbe caricato i rifiuti in Spagna e navigato per mesi alla ricerca di un ormeggio, rifiutatogli da ben 5 paesi, Nigeria inclusa. Secondo altre fonti avrebbe puntato direttamente su Abidjan, dove altri ancora riferiscono sia rimasta ormeggiata a lungo prima di effettuare lo scarico. Secondo la società proprietaria dell'imbarcazione - la 'Prime Marine Management' - raggiunta telefonicamente dalla France Presse, il carico non era tossico, ma «lo è diventato in seguito a reazioni chimiche». La «Prime Marine Management» ha declinato ogni responsabilità e sostiene che una volta arrivati ad Abidjan, i rifiuti sono passati nelle mani di una società ivoriana specializzata nella gestione degli scarti di produzione, la 'Tommy', che appartiene all'azienda locale Puma Energy. Quest'ultima a sua volta è una consociata della 'Trafigura Ltd', un gigante con 55 uffici commerciali in 36 paesi del mondo specializzato «nei settori dell'Energia e nel mercato dei metalli di base», come spiega il sito aziendale.
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