Incidente nucleare all'Enea
Per quattro mesi nessuno lo ha ammesso. E solo oggi, forse, sapremo la versione ufficiale dell'Enea e della Sogin su quanto avvenuto nei laboratori nucleari della Casaccia, a Roma, verso la fine del maggio scorso. Quello che è certo è che sei persone, addette allo smantellamento degli impianti nucleari, sono state contaminate da polvere di plutonio, un elemento che non esiste in natura, altamente radioattivo e che è anche un potente veleno biologico. Lo hanno respirato, inalato, e nessuno sa dire quali saranno le conseguenze per la loro salute.
Anche loro, i sei lavoratori della Sogin (quattro sono però dipendenti dall'Enea), che per quattro mesi sono stati sottoposti a ripetute analisi, non hanno avuto ancora alcuna comunicazione ufficiale. Probabilmente la otterranno oggi pomeriggio durante l'incontro, fissato solo grazie ad una lettera firmata da molti dei circa mille operatori della Casaccia, con il direttore Pasquale Giampietro, e con Vittorio Santinelli, responsabile dell'«Impianto Plutonio» per la Sogin, la società pubblica a cui il governo Berlusconi ha affidato nel 2003 la gestione di tutto il nucleare italiano. E, quindi, anche dello smantellamento dei tre impianti nucleari dell'Enea: Saluggia in Piemonte, Trisaia in Basilicata e, appunto, la Casaccia, dove, in attesa di smaltimento, ci sono ancora circa 5 chilogrammi di plutonio. E dove gli impianti nucleari sono talmente vetusti e malandati - gli strumenti di lavoro hanno gli stessi anni della struttura, costruita negli anni '60 - che in molti all'interno chiedevano da tempo un intervento serio sulla sicurezza, e all'Apat (l'Agenzia nazionale di protezione ambientale) di ripristinare i controlli mensili che avvenivano regolarmente fino alla presa in carico degli impianti da parte della Sogin.
«Era la fine di maggio quando le analisi dei campioni biologici a cui viene sottoposto ogni sei mesi il personale specializzato, nell'ambito del programma di sorveglianza medica, ha dato risultati positivi per sei delle quattordici persone addette allo smantellamento degli "Impianti Plutonio" - racconta uno dei lavoratori interni che chiede l'anonimato e che perciò chiemeremo Mario - La contaminazione da polveri di plutonio misurata non era molto elevata: variava da 0,70 milli Bequerel (l'unità di misura relativa), fino ad un massimo di 5 o 6 mBq. Intorno al 20 luglio, quasi due mesi dopo, ai sei dipendenti venne comunicato che avrebbero dovuto ripetere le analisi. Dal 18 settembre, poi, sono stati richiamati per fare un'ulteriore analisi, la Whole body counter». Da questi ultimi due accertamenti, secondo notizie ufficiose, i valori sarebbero tutti negativi ma, spiega Mario, secondo le tabelle dell'Aiea dopo soli 11 giorni dalla contaminazione l'attività rilevata nei campioni biologici diminuisce di un fattore pari a 10 mila volte. «E' gravissimo che all'interno di un impianto nucleare - continua Mario - ci possa essere una contaminazione perché non c'è stato un vero e proprio incidente, nessuno lo ha denunciato all'Apat. E allora significa che tutto l'impianto non è sotto controllo». Vuol dire, spiega, che l'impianto di aspirazione dei locali, con cui si misura la contaminazione ambientale, non ha funzionato e lo stesso vale per il rilevatore di radioattività per mani e piedi posto vicino l'uscita. E vuol dire anche che quelle sei persone sono andate in giro, forse, con piccole particelle di polvere di plutonio addosso. «Un'eventualità da scongiurare in qualsiasi modo, come dicono le leggi», sottolinea Mario. «Le persone che controllano il sistema, il direttore dell'impianto, il responsabile Sogin, l'esperto qualificato e il medico autorizzato avrebbero dovuto - accusa Mario - emanare immediatamente, a giugno, un ordine di servizio per chiudere le attività, evitare che altri lavoratori non opportunamente protetti entrassero nella zona dove è custodito il plutonio, e avrebbero dovuto richiedere altre analisi immediate». E invece solo la scorsa settimana, secondo Mario, ma anche secondo il sindacato autonomo Usi Rdb Ricerca, «hanno fatto una verifica a tappeto e hanno scoperto la contaminazione di uno dei sacchetti in pvc che chiudono le aperture laterali delle glove box». Le «scatole a guanti» a cui stavano appunto lavorando i sei tecnici in quel periodo, sono scatole in plexiglass con due buchi laterali provvisti di guanti. Servono per maneggiare il plutonio in condizioni di sicurezza. All'interno sono depressurizzate proprio per far in modo che la polvere non fuoriesca. Per questo le glove box, già vecchie di 40 anni, sono particolarmente a rischio. «Se un solo pannello di plexiglas dovesse rompersi sarebbe un vero disastro», avverte il tecnico specializzato. I sei dipendenti della Sogin hanno avuto finora timore di denunciare quanto avvenuto perché, dicono, rischiano l'allontanamento, sia pure momentaneo, dal posto di lavoro. «La Sogin - conclude Mario- licenzio tutti gli ingegneri degli impianti e assunse giovani senza alcuna esperienza diretta, soprattutto di impianti nucleari così vecchi, né di plutonio, e che non vennero sottoposti a nessun training. Così il progetto di smantellamento messo a punto secondo gli standard internazionali, non sono mai stati rispettati. La bonifica è stata fatta senza tener conto delle analisi di sicurezza, senza alcun piano contro eventuali eventi anomali. Insomma in condizioni pericolosissime, cosa che negli altri impianti europei non è assolutamente nemmeno concepibile».
Sociale.network