I soldi delle bollette? Per gli inceneritori
Ai cittadini italiani non far sapere che quel 7% della loro bolletta elettrica destinato a sostenere le energie rinnovabili «e assimilate» per contrastare le emissioni di CO2, in realtà viene speso per aumentare il contributo al riscaldamento climatico: finanziando gli inceneritori. Nel 2004 hanno ricevuto ben 245 milioni di euro. Contro il paradosso per cui l'Italia, unica in Europa, considera il combustibile derivato dai rifiuti una fonte rinnovabile assimilata da sostenere, mentre le vere rinnovabili sono neglette, ieri la Rete nazionale rifiuti zero e Greenpeace Italia hanno consegnato ai presidenti di Camera e Senato 30.000 firme di cittadini che chiedono l'abolizione del sussidio agli inceneritori, contestato anche dall'Unione europea che in merito ha deferito l'Italia alla Corte di Giustizia. Spiega Giuseppe Onufrio, direttore delle campagne di Greenpeace: «Nei rifiuti inceneriti è presente una rilevante componente di plastiche, una fonte fossile a tutti gli effetti in quanto derivata dal petrolio». Infatti, per un kilowattora ottenuto bruciando rifiuti si emettono ben 940 grammi di anidride carbonica. Al confronto fa meglio perfino un impianto termico tradizionale a carbone (900 grammi); e salta all'occhio lo scarto rispetto ai 530 grammi di emissione media di CO2 per kilowattora (stante il «parco» italiano di fonti fossili e rinnovabili). Insomma, sottolinea Francesco Tedesco della campagna clima di Greenpeace, con gli inceneritori si finanziano le emissioni di gas serra. Invece, un kilowattora da fonti rinnovabili pulite - solare, eolico, biomasse - provoca zero emissioni di anidride carbonica. Lì dovrebbe andare quel famoso 7%. L'Italia ha visto aumentare del 13% le proprie emissioni di gas serra rispetto al 1990, anziché ridurle del 6,5% come richiesto dal moderatissimo e insufficiente Protocollo di Kyoto. Da una tonnellata di rifiuti si producono circa 700 kwh e si ricevono mediamente circa 70 euro di incentivi per la produzione di elettricità; ma se gli impianti dovessero acquistare sul mercato i permessi di emissione, si dovrebbe pagare una cifra pari a 10-15 euro a tonnellata bruciata per arrivare fino a 100 in futuro. Le sovvenzioni fanno proliferare gli inceneritori in Italia: i piani sono di raddoppiare il numero di impianti dai 54 attuali, arrivando a trattare il 30 per cento dei rifiuti prodotti contro il 10% di adesso. Ma i danni di questo assistenzialismo non finiscono qui, come ha spiegato Rossano Ercolini della Rete nazionale rifiuti zero: «Questa situazione drogata, la truffa oggettiva del business incenerimento fa crescere i rifiuti prodotti e taglia le gambe alle altre R: riduzione a monte, riuso, riciclaggio. Ipotecando il futuro per 20, 25 anni». Oltre al danno sanitario da polveri per le popolazioni circostanti, l'inceneritore non elimina comunque il problema discarica, per via delle ceneri residue e altamente tossiche. Al contrario, la strategia rifiuti zero sostenuta dai tanti comitati italiani contro gli inceneritori propone una serie di interventi che entro il 2020 porterebbero virtualmente a zero i rifiuti; altro che sindrome Nimby («non nel mio giardino»): riduzione a monte con interventi sul ciclo industriale e soprattutto sugli imballaggi; potenziare il riuso manovrando su assemblaggio e riassemblaggio; raccolta porta a porta generalizzata che in pochi anni fa arrivare al 60% di differenziata; incentivo al mercato del riciclaggio delle materie prime (ad esempio la carta, invece appunto di bruciarla). E la «frazione residua», quello che rimarrebbe comunque? Ercolini: «Proponiamo la gestione a freddo, il trattamento meccanico biologico che riesce a recuperare altri materiali, lasciando per la discarica solo una minima frazione stabilizzata»; da sottoporre a preciso screening per individuare quel che appunto le varie R non possono digerire. Ed eliminarlo a monte.
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