Di nuovo in piazza contro il rigassificatore
Col governo Berlusconi è stato imposto a Brindisi il rigassificatore voluto dai vertici delle amministrazioni dell'epoca, senza alcuna procedura democratica e senza alcun coinvolgimento dei cittadini, attraverso operazioni tuttora al vaglio della Magistratura penale.
Il vasto movimento di opinione che si è opposto in questi anni all'impianto chiedendo un nuovo modello di sviluppo economico ebbe subito, dopo alcuni «pentimenti» seguiti all'esplosione della «tangentopoli» brindisina, il consenso delle forze politiche locali e le istanze di tale movimento, passate nei programmi di quasi tutti i partiti, ottennero nelle elezioni amministrative del 2004 l'avallo del consenso popolare.
L'opposizione al rigassificatore divenne poi durante l'ultima campagna elettorale per le elezioni politiche il distintivo ostentato da autorevoli esponenti nazionali del centrosinistra i quali assicurarono pubblicamente agli elettori che l'impianto non si sarebbe fatto contro le scelte degli Enti locali e della regione Puglia. Quali sono state finora, con l'avvento del governo Prodi alla guida politica del paese, le tanto attese novità per Brindisi?
Un mortificante alternarsi di silenzi e segnali dilatori e contradditori: nessun adeguato approfondimento del caso, diffusione di notizie contrastanti, incontri di amministratori locali con rappresentanti del governo portatori di posizioni diverse, risposte a interrogazioni parlamentari responsabili nelle premesse ma deludenti nelle conclusioni, continui rinvii delle scelte definitive. Il tutto condito da messaggi informali carichi di sciocchezze come quella della regolarità formale dell'autorizzazione ottenuta dalla società inglese British gas (ma non è lo stesso governo che col sottosegretario Bubbico al Senato ha lamentato il difetto della Valutazione d'impatto ambientale?) o quella degli esosi risarcimenti dovuti alla stessa società inglese in caso di revoca del provvedimento autorizzativo (sulla base di quali elementi di fatto e di diritto?) o ancora quella del danno d'immagine del nostro paese sul piano internazionale sempre nel caso di ritiro dell'autorizzazione (un presunto danno che dovrebbe comportare il sacrificio di diritti fondamentali e di interessi vitali?). E non basta, perché si è avuta anche la circolazione di notizie ufficiose che da un lato accreditavano in un primo momento il rifiuto del governo ad aprire un corretto procedimento di autotutela per il ritiro dell'autorizzazione precedentemente concessa. Dall'altro, sostenevano il suo orientamento in favore di una riconvocazione della conferenza dei servizi, successivamente smentito dall'esecutivo perché contrario a questa soluzione, lasciando in campo solo la polpetta avvelenata di una postuma «Valutazione d'Impatto Ambientale», destinata a concludersi con le consuete «prescrizioni» senza alcun annullamento del precendente provvedimento autorizzativo. Si riserva così alla nostra gente e al nostro territorio un trattamento fatto di mancanza di rispetto, di silenzi, di cose dette e smentite e, nella sciagurata ipotesi di un epilogo negativo della vicenda, di impegni pubblicamente assunti e miseramente non mantenuti. Un trattamento sfruttato per ragioni di lotta politica fine a se stessa da alcuni esponenti locali della destra che contrastano ogni cambiamento e che hanno sempre avallato la scellerata scelta berlusconiana cercando di coprirsi con speciosi e ambigui argomenti per non entrare in conflitto con gli orientamenti della stragrande maggioranza dell'elettorato locale.
Un trattamento di fronte al quale i cittadini oggi scendono di nuovo in piazza a Brindisi per affermare la volontà delle popolazioni interessate di dare un volto nuovo al nostro territorio e per ribadire che la costruzione del rigassificatore è incompatibile con tale scelta oltre ad essere foriera di gravi pericoli per l'incolumità pubblica.
Un movimento che non attenua le diversità esistenti al suo interno ma le pone tutte al servizio, ciascuna con la propria specificità, della domanda popolare di cambiamento che in questi anni è maturata nella società per poi diventare progetto politico. Una manifestazione civile, democratica e pacifica: un rilevante evento di partecipazione senza punti esclamativi ma forte di istanze legittime che non possono essere disattese senza colpire a morte le autonomie locali, senza sbattere la porta in faccia al diritto e senza fare indossare al potere la maschera deformante dell'imposizione e dell'abuso.
Nonostante tutto questo, la fiducia non è ancora spenta ma se il senso di responsabilità e il buon senso non dovessero prevalere allora la comunità (cittadini e istituzioni) dovrà dare al governo una forte risposta politica ricorrendo anche, nel rispetto della legalità democratica, a clamorosi atti di protesta per richiamare l'attenzione dell'intero paese sull'iniquità subita e sulla rottura del rapporto istituzionale di fiducia e di collaborazione tra gli Enti locali e l'esecutivo. Non sono certo le dimissioni di qualche amministratore come atto personale di coscienza e neppure le scorciatoie di qualche pur generosa azione incontrollata di contrasto, gli atti che possono risolvere positivamente il problema ma lo sono soltanto la determinazione politica, la resistenza sociale e la lotta civile dell'intera città e dell'intera provincia.
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