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Ecomafia, espansione nelle Marche

Non si salvano neanche le Marche dall'essere pattumiera dei rifiuti tossici industriali del Nord. Secondo quanto scoperto dai carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Ancona, ci sono rifiuti provenienti soprattutto da Veneto e Lombardia e smaltiti illegalmente al ritmo di sei o sette camion al giorno.
14 marzo 2007
Alessandro Iacuelli
Fonte: Altrenotizie - 13 marzo 2007

Dopo Campania, Puglia, Basilicata, basso Lazio e Abruzzo, con l'operazione "Arcobaleno", coordinata dal sostituto procuratore di Pesaro Massimo Di Patria, viene alla luce anche lo scenario inquietante dell'Italia centrale. Secondo quanto emerso dalle indagini, fra il 2003 e il 2006, tonnellate di scarti di lavorazioni industriali, classificati come rifiuti speciali, tra i quali fanghi, bitume, amianto, vernici e altri materiali pericolosi per la salute, venivano avviati verso discariche o impianti non autorizzati dopo un semplice "lavaggio" con acqua. Con bolle di accompagnamento falsificate, relative a materiali di recupero industriale già trattati precedentemente.

Gran parte dei rifiuti venivano smaltiti nella discarica di Barchi, in provincia di Pesaro e Urbino, di proprietà della locale Comunità montana ma gestita da privati, o nella cava "Solazzi" di Carrara di Fano. Entrambi gli impianti figurano nell'elenco delle 56 strutture (imprese estrattive, o specializzate nel recupero e trasporto di rifiuti), poste sotto sequestro nei giorni scorsi.

Fra le più note la Ferri Oliva srl di Orciano di Pesaro, la Luvicart di Lucrezia di Fano, la Piemonte Recuperi, la Matteazzi srl di Noale (Venezia), la Free-Rec di Bondeno (Ferrara), la Italmacero di Modena, la Brambilla Servizi Ambientali spa di Lecco, la Sev srl di Verona.
Almeno in un caso, le sostanze tossiche sarebbero state smaltite all'interno di una cava a diretto contatto con il terreno (a Carrara di Fano), senza alcuna opera di impermeabilizzazione, con la conseguente contaminazione delle falde acquifere. Le 11 ordinanze di custodia cautelare in carcere per associazione per delinquere finalizzata alla truffa e al traffico illecito di rifiuti, firmate dal gip Daniele Paci, sono a carico di cinque intermediari del settore rifiuti, un gestore di discarica, cinque titolari di impianti di recupero. Oltre queste, ci sono anche ben 156 indagati.

Ingente la mole di documentazione cartacea e informatica acquisita che, incrociata con gli accertamenti condotti dall'Agenzia regionale per l'Ambiente, conferma i peggiori sospetti: falsificando sistematicamente i pesi, i certificati, le analisi e i registri di carico e scarico dei rifiuti, intermediari, produttori e autotrasportatori smaltivano in discariche pubbliche o in cave in ripristino
ambientale i rifiuti speciali destinati in genere alla termodistruzione.

Durante la conferenza stampa svoltasi a fine operazione, il pm Di Patria, il col. Antonio Menga e il maresciallo Giuseppe Di Venere del Noe hanno riferito che alcuni operai della discarica di Fano hanno accusato malori e bruciori alle mucose trattando quelli che credevano essere normali rifiuti urbani: in realtà scarti contaminati da cromo, rame, piombo, zinco e idrocarburi. L'Agenzia regionale per l'ambiente ha accertato che rifiuti di categoria diversa venivano miscelati (nonostante la legge lo vieti) per occultarne la pericolosità.

L'organizzazione appena sgominata avrebbe agito condizionando anche alcuni amministratori degli enti gestori delle società municipalizzate coinvolte e delle discariche, per poter smaltire i rifiuti tossico-nocivi nelle discariche pubbliche pesaresi di Tavullia e Barchi. Indagini sono ancora in corso per il presunto omesso controllo da parte dei direttori delle municipalizzate Aset, Aspes e della Comunità montana del Metauro, nonché dei direttori tecnici delle discariche. Sono stati scoperti anche sporadici smaltimenti illeciti da impianti della Campania.

In totale, nel periodo sotto inchiesta, 40 mila tonnellate di scarti illegali sono state abbandonate al suolo nella sola provincia di Pesaro e Urbino, in certi casi perfino interrate in un laghetto naturale di cava. 100 mila tonnellate in tutte le Marche, con la conseguente riduzione degli spazi a disposizione dei Comuni nelle discariche pubbliche e notevoli costi di bonifica.
I primi passi dell'inchiesta avevano consentito di smantellare nel 2005 un'organizzazione parallela attiva in provincia di Ancona; due all'epoca gli arresti e 30 le denunce. Il presidente della Regione Marche ha già annunciato che l'amministrazione regionale si costituirà parte civile nel procedimento penale.

Interpellato in merito all’operazione “Arcobaleno”, Roberto Della Seta, presidente nazionale di Legambiente, ha dichiarato: “Se è fondamentale l’opera di controllo del territorio e contrasto al traffico illegale di rifiuti che stanno portando avanti le forze dell’ordine è fondamentale anche avviare una seria attività di controllo alla fonte. Ovvero laddove questi rifiuti vengono prodotti. E dare anche risposte chiare per governare il problema.”

In effetti, se è possibile effettuare miscelazioni di rifiuti pericolosi con rifiuti urbani, e poi abbandonare il tutto in discariche situate spesso a breve distanza dai centri abitati, è perché esiste un vuoto legislativo alla base. Una legislazione, soprattutto negli ultimi 10 anni, in tema di rifiuti che, inseguendo il buon proposito del semplificare le procedure e di spingere verso il riciclo ed il riuso, ha purtroppo aperto alcune “falle”, che permettono di fatto di far passare come “materiali da riuso” quelli che sono rifiuti tossici. Che poi non finiranno riciclati da nessuna parte.

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