Caro Di Pietro, scendi da cavallo
La questione della Legge Obiettivo e di cosa voglia fare l'Italia della ipoteca più pesante lasciata dal governo Berlusconi per il suo futuro economico-finanziario e ambientale costituita da un programma di infrastrutture strategiche valutato oltre 264 miliardi di euro in quindici anni, senza alcuna coerenza trasportistica e infrastrutturale, è uno di quei problemi che dovrebbero assumere centralità nell'agenda politica governativa. Ma, come per altre questioni spinose per la maggioranza, c'è una tendenza dominante ad andare avanti attenti più agli equilibri partitici, che agli interessi del paese.
A dire il vero il 29 settembre 2006 nel Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), il governo aveva deciso una ricognizione della Legge Obiettivo e del programma delle opere, in coerenza col programma di governo che le aveva dichiarate un fallimento. E lo è, se si pensa che nello studio redatto il 15 marzo scorso dal Servizio studi della Camera dei deputati sulle 184 delibere di grandi opere approvate in Cipe (dal 2002 al 2006), che riguardano 137 opere (per un costo, finora, di 89 miliardi) emerge, tra l'altro, che solo quattro sono ultimate e venticinque in fase di realizzazione.
Ma, tenendo conto che le procedure accelerate e semplificate, concepite dall'asse Berlusconi-Lunardi-Tremonti, dovevano servire a imporre sul territorio le decisioni del governo centrale, il dato più significativo è quello dei tempi: slitta di due anni l'attuazione del programma e la mole maggiore di investimenti è proiettata nel futuro. Dall'indagine del Servizio studi della Camera emerge che l'impegno, previsto nelle delibere Cipe, per le opere di maggiori dimensioni sarà nel quinquennio 2011-2015, allorché si dovranno sborsare 62 miliardi di euro. Il gioco al massacro con effetti differiti, effettuato nella XIV legislatura è palese, come dimostra anche il fatto che negli ultimi quattro mesi del governo Berlusconi sono state approvate 47 delibere, il 90% delle quali senza alcuna copertura finanziaria.
Un nuovo governo che voglia stabilire delle sostanziali correzioni che invertano la tendenza avrebbe sospeso le procedure di approvazione e congelato il primo programma delle infrastrutture strategiche, avviato una verifica sulla sostenibilità ambientale, tramite la valutazione ambientale strategica e degli impegni economico-finanziari, sulla base di una seria valutazione del calcolo costi-benefici per la comunità nazionale. Tutto ciò inquadrato in una revisione del Piano generale dei trasporti e della logistica e delle procedure autorizzative derivanti dalla Legge Obiettivo, che sono servite sinora a fare strame della valutazione di impatto ambientale e a conculcare le volontà degli enti e delle comunità locali.
Questo era scritto, in sostanza, nel programma di governo «Per il bene dell'Italia». Ma ad oggi una parte del governo si concentra sull'analisi sempre più accurata della situazione, mentre il ministro delle infrastrutture Di Pietro galoppa di regione in regione a confermare esattamente ciò che i governatori, di tutti i colori politici, avevano previsto nei loro patti di ferro con Berlusconi. Ed ecco le pedemontane veneta, lombarda e piemontese, la Bre.Be.Mi, le autostrade Cecina-Civitavecchia e Roma-Latina, la conferma sostanziale del progetto dell'Av ferroviaria.
L'unico rimasto al palo è il ponte sullo Stretto di Messina, ma con una incresciosa rincorsa del Ministero delle infrastrutture e del presidente dell'Anas (nonché amministratore delegato della Stretto di Messina Spa) Pietro Ciucci, a chi lenirà, con laute compensazioni, l'onta subita dalla cordata capeggiata da Impregilo che doveva realizzarlo.
Qualcuno dirà a Di Pietro di scendere da cavallo? Al momento, i tentativi di frenarlo, non hanno avuto alcun esito; a conferma che in questa precaria maggioranza fermare un ministro e leader di partito non conviene, posto che il resto della coalizione voglia davvero attuare quello che è stato scritto bellamente nel programma di governo.
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