Cerano: la storia infinita
I numeri
“Stop al carbone per salvare il Pianeta”: questo è il titolo del dossier che Legambiente ha presentato in occasione dell’anniversario dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, lo scorso 14 febbraio.
Il dossier snocciola numerose e drammatiche verità del nostro paese, rilevate in seguito a undici pacifici blitz in altrettante centrali che, nell’era dello sviluppo e dell’utilizzo di fonti alternative, hanno ancora a che fare con il carbone, addirittura ampliandosi o non riuscendo a completare la conversione al metano da tempo progettata per loro.
A risvegliare le coscienze di tutti gli attori pugliesi di qualsiasi livello istituzionale, però, concorre quello che sembra essere il dato più allarmante che il dossier presenta: dalla misura delle emissioni di anidride carbonica (CO2), risulta che la centrale Enel “Federico II” di Cerano (Br) produca oltre un terzo del totale delle emissioni nazionali: 15,8 milioni di tonnellate annue a fronte di un totale nazionale di 44,5 milioni, dato peggiorato dal monitoraggio dell’altra centrale di Brindisi, la EdiPower che emette quasi due milioni di tonnellate di CO2.
Le emissioni di Cerano possono essere messe persino a confronto con quelle degli interi Stati Uniti per una cifra equivalente al cinque millesimi dei milioni di tonnellate riversate ogni anno nell’atmosfera dagli U.S.A.
Gli effetti di questa mole inquinante sono facilmente rilevabili: le analisi svolte dalla Direzione Qualità della Vita del Ministero dell’Ambiente e validate dall’Arpa hanno tenuto conto della direzione dei venti e rilevato la presenza di pesticidi e metalli pesanti oltre i limiti consentiti nelle coltivazioni di ortaggi destinati alla vendita, nel sottosuolo e nella falda profonda del territorio compreso tra Brindisi e Cerano.
In molti conoscono la storia dei carciofi di Cerano, ma ci voleva uno studio pubblicato il primo febbraio per comprenderne la drammaticità
In questo contesto la città di Lecce, apparentemente estranea ad un coinvolgimento diretto, è stata invece segnata dal peggiore dei primati, che più di un attore ha messo in legame frontale con la centrale brindisina: si tratta delle incidenze neoplastiche diffuse dal Registro tumori jonico – salentino.
La classifica delle tre province del Salento vede Lecce al primo posto con un’incidenza dell11,8% dei casi di tumore alle vie respiratorie, seguita in modo tutt’altro che scontato dai due poli industriali del territorio, Brindisi (9,3%) e Taranto (8,3%).
Certo, più d’uno ha ricordato i problemi dai quali è ammorbata l’area leccese, quali lo smog che fa impazzire le centraline in città e l’esistenza di altri micromostri, così definiti da Giovanni Pellegrino se il mostro è Cerano, come la Colacem di Galatina e la Coopersalento di Maglie.
Essa è collegata tramite quattro elettrodotti a 380kV alla stazione elettrica di Tuturano, da cui si snodano le linee nazionali.
Il complesso comprende quattro gruppi turbina – alternatore, quattro torri per i generatori di vapore, due sale di controllo, gli spazi dei trasformatori, un parco combustibili liquidi e un piazzale per lo stoccaggio del carbone, gli impianti per il recupero ceneri e per i condensatori, la ciminiera dove sono convogliati i fiumi dopo la depurazione, le opere di presa e restituzione al mare delle acque.
Al centro di stoccaggio venivano inviati dei carri mediante uno dei più lunghi nastri trasportatori mai costruiti in Europa, che partiva da Costa Morena, ma è andato distrutto durante l’incendio dello scorso anno: il carbone è trasportato mediante camion.
I fatti
Quanto enumerato finora rappresenta un fardello insostenibile per la Puglia, che ha esposto l’Enel a due mesi di fuochi incrociati da parte di enti, istituzioni, sindacati e associazioni, tanto più che ci si avvicina ad appuntamenti elettorali a seguito di campagne agguerrite e iperprolifiche.
Dato il periodo si può dunque dubitare che le minacce e le accuse abbiano seguito sul piano giudiziario, ma sarebbe un torto all’impegno di tanti attori affermare qualunquisticamente che tutto fa brodo.
Anzitutto perché l’opposizione alle politiche del gestore della rete elettrica si sono finalmente smosse dalla loro ventennale vena individualista e sembrano essere convogliate in un movimento.
La Provincia di Brindisi e altre istituzioni hanno promosso tavoli tecnici integrati, rifiutando con compattezza la proposta Enel di ridurre del 10% le immissioni di CO2 e hanno rilanciato la richiesta della riduzione del 33% e dell’introduzione di un gruppo a gas che sostituisca parte del carbone utilizzato, vincoli imposti dal Protocollo di Kyoto che scavalcano anche il tetto regionale della riduzione del 25%.
Enel si è vista così strappare l’impegno a operare tagli drastici che porterebbero alla riduzione delle emissioni di zolfo (SO2) del 19%, passando così da 10,5 mila tonnellate annue a 8,5 e degli ossidi d’azoto (NOx) del 13%, da 8,6 mila tonnellate a 7,5.
L’impegno prevede anche una maggiore profusione di risorse sulla ricerca scientifica e sul “carbone pulito”.
Le reazioni, però, non sono state tenere nemmeno in questo caso: la Uil ha attaccato i gestori con l’accusa di aver ridotto il sito a succursale di altre ditte esterne, titolari di subappalti, lasciando fuori le ditte brindisine e di aver ridotto il personale, questo sì, del 30% nonostante un aumento di produzione del 50% e la triplicazione del carbone impiegato.
Linea dura tenuta anche dal sindaco di Brindisi Domenico Menniti, che accusa l’Enel di avere importanti coperture politiche e di corruzione.
È rincuorante assistere al risveglio dell’impegno su Cerano, come al solito di fronte ai numeri: resta solo da chiedersi dove fossero e da che parte stessero gli stessi attori vent’anni fa.
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