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L'Arpa Puglia istituirà un Protocollo di studio integrato per rispondere alle emergenze sanitarie del territorio

Perché tanti tumori ai polmoni nel Leccese?

Assennato: priva di fondamento la relazione tra l'incidenza tumorale a Lecce e la centrale di Cerano. Le ragioni sono da ricercare anche tra le pessime abitudini salentine.
23 maggio 2007
Fonte: L'Ora del Salento - 10 maggio 2007

“Una situazione desolante”: descriveva così lo stato dell’Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale (Arpa) Puglia il professor Giorgio Assennato, ad appena due mesi dal conferimento dell’attuale incarico di direttore.
A distanza di un anno la carenza tecnica sussiste, ma si gettano le basi per importanti azioni di salvaguardia e prevenzione del territorio, a cominciare dalla ricerca di una risposta valida all’impennata d’incidenza di tumori verificatasi negli ultimi anni nel Salento.
Al centro del mirino la qualità dell’aria, ammorbata dai centri industriali e da stili di vita insostenibili per il territorio.

In qualità di responsabile del Registro tumori jonico – salentino, qual è stata la causa scatenante dell’impennata di mortalità per tumori nel Leccese?

Il rischio elevato si conosce dagli anni Settanta, con le dovute proporzioni, e le manifestazioni di tali incidenze sono ubiquitarie, ma si concentrano in particolar modo nelle località di Otranto e Santa Cesarea.
Le ragioni di questo tasso di mortalità in eccesso sono assolutamente non chiare tanto che l’Arpa Puglia sta per lanciare un Potocollo di studi interdisciplinari, al quale concorreranno i saperi di oncologi, epidemiologi e scienziati ambientali: una convergenza importante per dare una risposta rigorosa ad un fenomeno sensibilmente rilevante.

Come si coordinerà il Protocollo, con quali fondi?

Sarà cogestito da noi insieme con l’Università del Salento, il Politecnico di Bari e sarà coordinato da Annibale Biggeri, docente di Statistica medica presso l’Università di Firenze, massimo esperto italiano in materia.
Il Protocollo di studio indicherà il da farsi, individuando i fattori di rischio, come affrontare il problema; le risorse finanziare devono provenire dalle istituzioni locali per il Protocollo e dalla Regione per i progetti che ne deriveranno.
La necessità è quella di fornire una risposta evidente ad un fenomeno rilevante come quello evidenziato dai dati delle incidenze di neoplasie.

Perché questi dati sono stati messi subito in relazione con la centrale “Federico II”?

Esiste una concreta possibilità che Cerano incida in modo decisivo, ma il complesso industriale tarantino, come anche le stesse presenze salentine, svolgono la loro parte.
Di fatto, però, collegare Cerano alle incidenze tumorali non è una conclusione basata su evidenza scientifica, ottenibile solo con una ricerca di alto livello.

Se la situazione è conosciuta dagli anni Settanta, perché ci si muove solo adesso? È il solito discorso dei numeri e dei morti, o l’ambientalismo ha contagiato anche le istituzioni?

Anzitutto oggi c’è una coscienza ambientale diffusa, che prima non c’era e che forse ha contagiato anche le istituzioni, che risentono della pressione dell’informazione e dell’opinione pubblica.
E non si deve ignorare che oggi ci sono conoscenze maggiori a livello epidemiologico e soprattutto c’è una specifica conoscenza ambientale: direi che solo oggi è possibile muoversi.

C’è da stupirsi della forte incidenza di tumori a Lecce?

Non era atteso. Ci si aspettava che il polo energetico e chimico di Brindisi e Taranto avesse maggiore incidenza, e comunque l’alta incidenza dei due capoluoghi conferma che le aree a rischio sono direttamente colpite.
Invece, le cause della preoccupante situazione leccese non sono affatto chiare: possono dipendere da emissioni industriali a distanza trasportate dai venti, dall’ inquinamento atmosferico locale, dallo stile di vita a volte troppo comodo dei salentini e dalla loro sempre maggiore attitudine al fumo, dal Radon, dall’avvelenamento sconsiderato delle campagne leccesi.
I fattori, insomma, possono essere tanti, ma occorre uno studio rigoroso e qualificato.

Il Registro tumori, alla sua prima verifica proprio in questi mesi, continuerà ad avere un ruolo?

Proprio il 3 maggio abbiamo convocato una riunione perché restasse in piedi, e l’esito è stato positivo, anche perché includeremo Lecce nella raccolta dati, con la collaborazione della nostra referente per l’area, Anna Melcarne.
Entro fine anno, inoltre, saremo in grado di diffondere i dati del 2003 per le province di Brindisi e Taranto, perché quelli diffusi di recente si riferiscono al 2001.
Un obiettivo dell’Arpa Puglia è quello di mettersi al passo di realtà più consolidate di altre regioni, che sono in grado di fornire dati ad un massimo di tre anni di distanza.

Quanto costa svolgere un lavoro del genere, dunque quanto costano le industrie e l’inquinamento al territorio?

Abbastanza in termini economici, poi molto impegno e lavoro, perché i flussi informativi non sono ancora adeguati, le ragioni patologiche non sono ancora informatizzate e ancora una percentuale molto alta di pazienti, più del 10%, sceglie di curarsi fuori dalle zone che monitoriamo: andare a trovare cartelle cliniche e referti istopatologici è stata un’impresa non da poco.

Questo lavoro però ha un ritorno decisivo per il territorio?

Così noi possiamo avere un quadro chiaro della situazione, individuare i fattori di rischio, valutare l’efficacia dei programmi di screening che nel frattempo si stanno realizzando, anche per comprendere le cause della sopravvivenza di tumori nelle nostre aree.
Dal 27 al 30 marzo scorsi, infatti, abbiamo realizzato a Lecce il primo convegno pugliese dell’Associazione italiana Registro tumori, dove si è evidenziato che la peggiore sopravvivenza dei tumori viene registrata proprio nel meridione per il fatto che si diagnosticano le patologie in fase troppo avanzata.

Giacinto Urso, che ai tempi della costruzione della centrale di Cerano era presidente della Provincia di Lecce, dalle pagine di “Espresso Sud”, lamenta che l’ “Arpa non suona”: qual’è la risposta dell’ente?

La nostra Arpa è in condizioni disastrate rispetto a regioni che subiscono pressioni ambientali paragonabili alla nostra come Piemonte e Veneto: non abbiamo personale sufficiente, strutture e strumentazioni adeguate.
Nonostante questo riusciamo a fornire un monitoraggio della qualità dell’aria di alto livello e intavoliamo discorsi come il Protocollo che le ho appena descritto.
Con una corda sola non possiamo fare concerti.

Finora abbiamo parlato dell’aspetto di registrazione dei dati di fatto, ma quali sono le strategie preventive dell’Arpa?

L’unica prevenzione possibile è quella primaria, i dati servono a evidenziare il problema che si è verificato come effetto dell’inquinamento degli anni scorsi.
Il nostro impegno è quello di garantire ai cittadini del Salento almeno un’aria migliore di quella che sono stati costretti a inalare nei dieci anni precedenti, un po’ perché non gliene fregava niente a nessuno e un po’ perché non c’erano strumenti adeguati per monitorarla.

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