C'è una strada nel parco
Guardaparco a Virunga (Repubblica Democratica del Congo), Jean-Pierre Jagobo Mirindi era in visita alla Riserva di Monterano, in Lazio, quando ha ricevuto una notizia cattiva: gli hanno ucciso un altro gorilla di montagna. Subito dopo però una buona: la riserva laziale sosterrà i progetti in favore dei figli dei guardaparco ammazzati in Congo dai bracconieri. E' uno dei progetti appoggiati in paesi lontani da questa Riserva a soli 50 chilometri da Roma: un concentrato di natura, biodiversità fittissima, cascate, archeologia e storia, e anche un interessante caso di «internazionalismo socioecologista».
La Riserva infatti sostiene il progetto «calorie dal sole e non dalla foresta», per diffondere le cucine a energia solare in Africa. O il «progetto Sanganigwa»: insieme al Jade Goodall Institute la Riserva è madre adottiva a distanza di orfani tanzaniani. In Burkina Faso, la Riserva di Monterano e il gemellato Parco delle Lame del Sesia finanziano un progetto di raccolta e riciclaggio della plastica. In Africa centrale, con il Wwf, i «parchi per la pace», aree verdi come argine contro la miseria e perfino la guerra; con le scuole di Canale Monterano per finanziare pozzi e acquedotti in Tanzania. All'orizzonte la collaborazione con parchi cubani e tunisini. In Italia c'è la sinergia con i carcerati sull'isola di Gorgona per la produzione di nidi e mangiatoie.
Le mucche o le ville?
A due passi da Roma, quest'area verde è anche un presidio contro la speculazione edilizia, e per questo incontra guai e resistenze. «C'è chi crede ancora che i parchi ostacolino il progresso, anche se di posti di lavoro ne abbiamo creati» dice il direttore Francesco Mantero, geologo. Una reputazione di coraggio e passione, decenni fa ricevette minacce e pallini di piombo per aver difeso un bosco. Anni fa invece rischiò di essere licenziato, con tutti i guardaparco, dopo una mozione di sfiducia presentata in giunta da alcuni consiglieri comunali (il Comune di Canale Monterano è l'ente gestore della Riserva). Poi il sindaco Marcello Piccioni si oppose e la giunta cadde. Alle ultime elezioni ha vinto una lista che appoggia la linea della riserva. La maggioranza del paese, dunque, quando vota si esprime a favore della tutela ambientale. «Se ce l'abbiamo fatta finora è grazie all'accordo fra Comune, direttore, guardaparco e anche i volontari in servizio civile» dicono gli operatori della Riserva. Il sindaco ne fa una questione di "resistenza morale": «I nostri indici di edificabilità sono assai contenuti e anche se subiamo forti pressioni speculative siamo consapevoli di dover difendere un patrimonio di tutti, non cedibile e non barattabile».
Da qualche tempo però una nuova minaccia pesa sulla Riserva: una strada. «E' una spada di Damocle che ci succhia tempo, energie e denaro in ricorsi» dice Mantero. Nel 2003 infatti il proprietario dell'azienda Agri San Pietro, appoggiato dall'ente «Università agraria di Canale Monterano» che gestisce gli usi civici sulle terre pubbliche, ha chiesto di trasformare in strada carrozzabile una piccola pista forestale esistente nella Riserva. Perché? Dicono per andare ad «affienare» (dar fieno) le mucche nella sua azienda di quasi 600 ettari. Il direttore Mantero puntualizza: «La zona è servita da altre strade. E poi, oltre agli ostacoli ambientali e vincolistici, ve n'è un altro: dalla parete lavica che costeggia la strada rotolano sassi e massi. Come si può farci passare trattori e camion?».
L'Italia non è l'Amazzonia, dove aprire un nastro percorribile da mezzi a motore significa iniziare a uccidere la foresta. Ma nel piccolo della Riserva Monterano la strada potrebbe, scrive in una memoria il direttore, «condannare un angolo di natura selvaggia alla sorte comune di molte altre aree di grande valore naturalistico e creare un precedente pericoloso per le aree protette rimaste».
L'area interessata, in località Greppe delle Scalette, va vista per capire. E' un ecosistema di forra fra i più selvaggi del territorio laziale, protetto da una stupenda falesia di prismi lavici, con guglie e pinnacoli, alta in certi punti anche 50 metri e lunga oltre 900. Accompagna il vicinissimo corso serpeggiante del fiume Mignone. Migliaia di tonnellate di lave leucitiche fessurate che vedono fondersi il regno minerale e quello vegetale: enormi alberi monumentali detti «spaccasassi» (Celtis australis), hanno incuneato le radici nella fenditura della roccia. Sulla scarpata ombrosa convivono viti selvatiche, carpini, lecci, e un sottobosco di liane e felci dall'aria esotica. Negli anfratti e nel silenzio prosperano salamandrine dagli occhiali, istrici, gatti selvatici, tassi, serpenti e rapaci. Il sito è ideale per molte specie di volatili protetti da direttive europee. Una biodiversità enorme che nel 1993 ha indotto la Regione a inserire quest'area nella Riserva di Monterano con una specifica legge. Compreso fra due siti di interesse comunitario (Sic), il luogo è incluso nella zona di protezione speciale (Zps) dei Monti della Tolfa. La parete lavica è anche un geosito (luogo di interesse morfologico) del Lazio. Nel 2001 il bosco che ricopre e assedia la parete di roccia è stato classificato come «riserva integrale»: da non toccare per nessuna ragione. Niente utilizzo boschivo (la Riserva paga l'Università agraria per evitare i tagli e permettere la crescita di alberi ad alto fusto), niente colture, né sfolli o diradamenti né pascolo. Come unico uso civico rimane il diritto di legnatico (prelievo di legna morta), ma non l'ha mai chiesto nessuno.
Strada privata, terre pubbliche
E' qui, fra l'alta roccia e il fiume, che la strada vicinale detta di Ponte Antico si perde a sinistra e si prolunga nella pista forestale: «Niente più di un sentiero di esbosco, uno stradello di smacchio in una zona del tutto boscata», la definisce in gergo tecnico il guardaparco Marco Gasponi; «Nel 1987 il Corpo forestale ne parlò come di un tratturo di larghezza compresa fra 90 centimetri e 1,60 metri; poi è stata un po' allargata da... chissà chi, gettando i massi nel fiume». Parte della strada di Ponte Antico e tutto l'ex tratturo sono interdetti alla circolazione con ordinanze comunali dal 2000; l'ultimo avviso è del 2005. Motivo: crollo di grossi massi e singole pietre.
Tutti sono contrari a quest'opera privata su terre pubbliche: amministrazioni, associazioni, esperti. E ovviamente la Riserva stessa, che ha negato il nulla osta. L'ufficio amministrativo della Riserva conserva pareri e perizie, dichiarazioni e memorie. I competenti servizi tecnici della Regione Lazio hanno detto molti no a partire dal gennaio 2004: «Una riapertura della pista alla circolazione presupporrebbe la messa in sicurezza dell'intero tracciato - intervento peraltro difficilissimo - con un impatto notevolissimo sulle risorse vegetali e faunistiche». Una recente nota della Regione fa presente le gravi responsabilità che deriverebbero dall'autorizzare lavori senza considerare il ruolo regionale in materia di opere di sistemazione delle frane e di tutela ambientale. Docenti di geologia hanno confermato l'impossibilità di mettere in sicurezza rocce laviche fessurate. E se ci si riuscisse - con la dinamite? le ruspe? - quest'oasi intatta diverrebbe un cantiere permanente di messa in sicurezza e manutenzione nella mission impossible di frenare la caduta massi: fine della pace per la salamandrina e tutti gli altri. Sono contro il progetto ovviamente le associazioni ambientaliste: Italia Nostra, Wilderness, Altura, Società botanica italiana, Legambiente. Un altro no è venuto dalla Provincia di Roma.
Eppure, a dispetto di tutti, il 27 giugno il Comissario nominato dal Tar del Lazio ha deciso che la strada s'ha da fare. Garantisce lui per l'incolumità di chi transita.
La Riserva promette resistenza. «L'opera risponde a esigenze private. Non possiamo permettere che si manometta una riserva integrale, senza neppure una valutazione di incidenza», taglia corto il sindaco.
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