Energia, un´Italia sempre meno efficiente
92, l´anno della Conferenza sull´Ambiente e lo Sviluppo di Rio de Janeiro, l´Italia impiegava 123 chilogrammi equivalenti di petrolio (Kep) per produrre 1.000 euro di reddito (in realtà di valore aggiunto). Una performance ragguardevole, che la poneva nel novero delle economie a più alta efficienza energetica al mondo. Pensate che l´Europa (dei 15) - che pure poteva essere considerata tra le aree al mondo con una bassa intensità energetica (l´intensità energetica è, appunto, la quantità di energia necessaria a produrre un´unità di reddito) - per produrre 1.000 euro di reddito impiegava 139 Kep. L´Italia vantava un´efficienza del 13% superiore all´Europa.
Nel corso dei tre lustri successivi l´intensità energetica europea è costantemente diminuita: nel 2003 i 15 hanno avuto bisogno di soli 128 Kep per produrre 1.000 euro di valore aggiunto (7,9% in meno). Al contrario, l´intensità energetica dell´Italia è aumentata: nel 2003 abbiamo avuto bisogno di 130 Kep per produrre 1.000 euro di reddito: (5,7% in più). Dal 1992 a oggi l´Europa è diventata più efficiente, mentre l´Italia è diventata meno efficiente.
In questo medesimo periodo l´economia generale del nostro paese è peggiorata, rispetto alla media europea. La crescita del Pil italiano è stata costantemente inferiore a quella degli altri paesi europei. Il tasso di occupazione è peggiorato. Lo stipendio medio di un lavoratore italiano non solo è inferiore a quello medio europeo, ma cresce meno. Il reddito procapite degli italiani, che all´inizio degli anni ?90 era del 6% superiore alla media europea è oggi inferiore dell´8%. In sintesi: cresciamo meno, abbiamo minori opportunità di lavoro e diventiamo più poveri rispetto agli altri europei.
Un osservatore acuto della capacità competitiva del sistema Italia, come Sergio Ferrari giù dirigente dell´Enea, sostiene che le difficoltà economiche del paese sono da attribuire alla sua specializzazione produttiva. Al contrario degli altri paesi seguiamo un modello di sviluppo senza ricerca. Spendiamo di meno sia nello sviluppo della scienza e della tecnologia che dell´alta formazione. Abbiamo un numero di ricercatori che non solo è inferiore alla media europea, ma resta stabile nel tempo mentre in Europa cresce a ritmi sostenuti (per non parlare del resto del mondo). Abbiamo una specializzazione produttiva centrata sulle tecnologie medie e basse e non sulle alte tecnologie (che crescono di più e remunerano di più chi ci lavora).
A questo punto possiamo tentare di trarre una prima morale. L´Italia è per ora fuori dalla società della conoscenza. Per questo diventa più povera (o meno ricca) degli altri. Ma la mancata crescita e la maggiore povertà relativa non producono affatto un ambiente migliore (o una migliore qualificazione del lavoro), anzi producono maggiore inefficienza e una più marcata impronta sull´ambiente (oltre che un peggioramento delle condizioni di lavoro).
Ma non è finita. L´inefficienza ecologica si traduce in un prezzo da pagare e diventa, quindi, essa stessa un ulteriore fattore di impoverimento. Consideriamo, a esempio, le tecnologie per l´uso delle fonti rinnovabili di energia. Tecnologie innovative, ad alto tasso di conoscenza aggiunto, messe a punto grazie a forti investimenti in ricerca, che sono decisive per il rispetto dei vincoli internazionali assunto sia in sede Onu (protocollo di Kyoto) che europea. Ebbene, nel 2004 abbiamo avuto un saldo commerciale negativo di queste tecnologie per 150 milioni di dollari. Un saldo negativo peraltro crescente. Ciò significa che paghiamo sempre di più per rispettare i nostri doveri ecologici e che dobbiamo acquistare all´estero ciò che non sappiamo produrre in Italia.
Eccoci, dunque, a una seconda morale. L´Italia deve fare ogni sforzo per entrare nell´economia della conoscenza. Deve modificare la sua specializzazione produttiva. Deve puntare sulla ricerca. Non solo per aumentare, ma anche per qualificare (ecologicamente e socialmente) la sua ricchezza. L´ambiente rappresenta, insieme, una necessità e un´occasione. Non possiamo perderla
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