Passaggio a nord, gelo internazionale
All'improvviso ambasciatori, ministri plenipotenziari e ammiragli di mezzo mondo parlano con disinvolta familiarità della dorsale di Lomonossov, finora nota solo a uno sparuto drappello di geologi marini. E autorevoli premier e presidenti si coccolano questa cresta montagnosa sottomarina che traversa per 2.000 km le acque artiche, come fosse la loro amata beniamina. Per lo meno dal 2 agosto, quando due minisottomarini russi, Mir-1 e Mir-2, sono scesi fino a 4.200 metri di profondità per piantare sul fondo dell'Oceano, esattamente sotto il polo Nord, una bandiera russa di titanio alta un metro. Questo gesto simbolico voleva dimostrare la sovranità russa sul fondale oceanico sotto il polo. La pretesa di tale sovranità è basata su un regolamento internazionale (vedi scheda accanto) che consente a uno stato di estendere le proprie acque territoriali oltre il limite canonico delle 200 miglia marine se può dimostrare che la regione reclamata è un prolungamento della propria piattaforma continentale.
La simbolica presa di possesso del niente in fondo all'oceano ha scatenato una corsa al polo nord che ricorda solo la febbre che colse gli esploratori ottocenteschi per trovare un passaggio a nord-ovest che avrebbe collegato Atlantico e Pacifico attraverso l'arcipelago artico canadese senza dover aggirare tutta l'America latina e lo stretto di Magellano. La ricerca fallì, ma lasciò dietro di sé un mito che si è tradotto in film leggendari come Passaggio a Nordovest (1940) di King Vidor con Spencer Tracy, e libri come La scoperta della lentezza (1983) del tedesco Sten Nadolny, uno dei più bei romanzi della fine '900.
Oggi assistiamo a qualcosa di simile, ma a livello ufficiale, e militare. Appena i russi hanno annunciato al mondo la loro impresa, il ministro degli esteri canadese Peter MacKay ha reagito: «Mica siamo nel XV secolo. Non puoi andare in giro per il mondo e piantare una bandiera e dire che quel territorio è tuo». A scanso di equivoci, ecco che, dopo tre giorni, il premier Stephen Harper si è recato in visita nell'arcipelago artico canadese e, annunciando la costruzione di una base militare a Risolute Bay e di un porto di acque profonde nell'abbandonato villaggio minerario di Nanisivik sull'isola di Baffin, ha detto bellicoso: «Il nuovo governo canadese sa bene che il primo principio della sovranità artica è: usala o perdila. L'annuncio di oggi dice al mondo che il Canada sta e intende stare a lungo nell'Artico».
Dopo il Canada, una settimana non era ancora trascorsa e la Danimarca decideva di mettere in chiaro le proprie rivendicazioni artiche (la Groenlandia è danese). I giornali di Copenhagen titolavano infatti «La corsa al polo s'intensifica», «La battaglia per l'Artico è cominciata», «Sale la febbre polare», perché domenica 12 agosto una squadra di scienziati danesi si era imbarcata a Tromsø a bordo del rompighiaccio svedese Oden in rotta verso la Groenlandia: l'Oden dovrebbe aver già incrociato al largo dell'arcipelago Svalbard il più grande rompighiaccio del mondo, il russo 50 Let Pobedy, che gli deve aprire la strada a nord della Groenlandia per la sua missione di 5 settimane per raccogliere più prove possibili per dimostrare che la dorsale di Lomonossov (ancora lei!) è collegata alla Groenlandia, facendo del polo nord un'estensione geografica del territorio danese.
Altre nazioni si fanno avanti: oltre Russia, Canada e Danimarca, anche Finlandia, Norvegia e Stati uniti (per via dell'Alaska) sono stati rivieraschi dell'Artico. Ma non tutto è chiaro in questa improvvisa «febbre polare». Intanto la gaffe della tv Rossiya (uno dei due canali di stato) che ha mandato in onda un filmato dei russi sul fondale oceanico che però è stato smascherato da un ragazzino finlandese di 13 anni che (secondo il Guardian dell'11 agosto) ha paragonato il filmato trasmesso da Rossiya con l'inizio del kolossal Titanic (1997) di James Cameron che comincia appunto con le immagini di due sottomarini che esplorano il relitto del transatlantico. La sostituzione è stata resa possibile dal fatto che i mini batiscafi Mir-1 e Mir-2 sono costruiti da una ditta finlandese e sono gli stessi usati da Cameron per girare il suo film.
Ma anche tralasciando il maldestro tentativo di Rossyia - o mettendolo sul conto della goffaggine dovuta al suo regime di quasi monopolio, c'è un altro aspetto curioso ed è la personalità dell'esploratore artico che ha guidato la spedizione sottomarina polare, Artur Cilingarov, che definire curioso personaggio è dir poco. Nato a Leningrado (oggi San Pietroburgo) nel 1939, diplomato all'istituto marittimo, sotto il regime sovietico ha fatto una brillante carriera tanto che è stato decorato con l'ordine di Lenin ed è stato proclamato «eroe dell'Unione sovietica». Dopo la perestroika, Cilingarov si è lanciato in politica e negli affari. Dal 1993 è stato eletto, e rieletto, deputato alla Duma in una circoscrizione del Grande Nord, il territorio autonomo dei Nenetsi. Membro del partito Russia unita del presidente Putin, Ciligarov è uno dei dieci vicepresidenti della Duma. Nel 2004, ha dichiarato al quotidiano Moskovski Komsomolets: «Con degli amici abbiamo fondato una delle più grandi banche della Russia». Grande frequentatore di casinò («mi aiuta a ridurre lo stress», dice), Ciligarov è vicino a persone legate alla mafia di Solntsevo (una delle più grandi mafie russe). A gennaio, scrive il quotidiano francese Libération, con il sostegno finanziario di Gazprom e di uomini d'affari affiliati al gruppo di Solntsevo, Ciligarov aveva organizzato un viaggio al polo per il direttore dei servizi segreti russi, Nikolai Patrucev, che aveva anch'egli piantato una bandiera, sì, ma al polo sud.
A 4.200 metri di profondità, Ciligarov il 2 agosto ha annunciato «l'Artico è russo». Di ritorno dalla propria impresa sottomarina, è stato ricevuto da Putin che si è congratulato con lui: «Ha fatto un lavoro interessantissimo ed eseguito in modo responsabile, importante sia per il nostro paese, sia per la nostra sicurezza».
E questo ci porta alla domanda principale: perché mai la Russia si è imbarcata in quest'impresa? Il paraocchi economicista ha fatto subito gridare a una guerra per il petrolio: il servizio da Mosca del Guardian del 3 agosto cominciava: «La Russia ha ieri rivendicato simbolicamente la propria pretesa su miliardi di dollari di riserve di petrolio e gas nell'Oceano artico...». Ma è proprio così? Gli esperti ne dubitano. Intanto, anche se ci fosse petrolio, scavare pozzi a 4.000 metri di profondità è un'impresa tecnicamente quasi impossibile (le tubature devono passare attraverso correnti che si muovono in direzioni diverse). In secondo luogo, l'ingegnere petrolifero Yves Mathieu ha dichiarato chiaro e tondo a Libération: «Punto uno: sotto il polo nord non c'è petrolio. Perché ci sia petrolio, sono necessari bassi fondi sedimentari abbastanza spessi. Ce ne sono tutto attorno ai continenti, ma sono tutti dentro il limite delle 200 miglia, dunque già all'interno dei domini attribuiti dal diritto internazionale. Estendere il proprio dominio marittimo non serve perciò ad acquistare diritti su bacini sedimentari che conterrebbero petrolio o gas. La corsa attuale non rientra in uno scontro petrolifero, Riguarda i simboli».
Il che ci riporta al punto di partenza: perché? La prima ragione è di politica interna. Per Putin questo è un anno elettorale e mostrare ai russi che si è tornati grande potenza sul fondo degli oceani o in alto nei cieli (come con la decisione di venerdì di far volare di nuovo i bombardieri atomici) dà una bella spinta alla popolarità presidenziale. La seconda ragione sta invece nello scioglimento dei ghiacci artici. Giovedì il National Snow and Ice Data Center ha annunciato a Washington che l'estensione dei ghiacciai polari ha raggiunto il minimo storico di 5,23 milioni di kmq, contro il record precedente di 5,31 milioni di kmq fotografati dal satellite il 21 settembre 2005. Lo scioglimento dei ghiacci cresce a velocità esponenziale perché mentre il ghiaccio riflette l'89% della luce solare, l'acqua ne assorbe il 90%: più ghiaccio si scioglie, più calore assorbe l'acqua e più velocemente si scioglie il ghiaccio residuo. Questo fa sì che il disgelo artico proceda a un ritmo molto più rapido delle previsioni. Anni fa si pensava che il ghiaccio sarebbe scomparso (in estate) dal polo nord tra il 2070 e il 2110, mentre oggi si pensa che ciò avverrà entro il 2030.
Il disgelo polare sconvolge la geografia commerciale del nostro pianeta e rende possibile far viaggiare merci cinesi o giapponesi verso l'Atlantico europeo o americano attraverso la rotta polare, attraverso cioè il famoso passaggio a nord-ovest, ora aperto grazie alla scomparsa della banchisa. Gli stretti tra le isole dell'arcipelago artico canadese diventano nevralgici come quello delle Molucche. Ecco la ragione per cui il Canada rivendica il proprio controllo su questi stretti, mentre gli altri paesi, Stati uniti in testa, ritengano che essi vadano considerati come Gibilterra e debbano essere aperti alla navigazione internazionale. Il gesto simbolico russo si spiega così come mossa preventiva tesa a bloccare ogni tentativo di Ottawa di canalizzare l'Artico.
Sotto la superficie di questa contesa resta però il presagio di un futuro che si potrebbe prefigurare, e che tante volte è stato raccontato dalla fantascienza: quello di un'umanità che abita in metropoli sottomarine, adagiate sui fondali oceanici sotto cupole, in bolle di aria, per poter sfruttare meglio le miniere di questi fondali e gli allevamenti sottomarini.
Altri romanzi di science fiction però ci profilano un avvenire più tetro e ci ricordano che una cosa è se si sciolgono i ghiacci marini, altra è quando si sciolgono quelli della Groenlandia e dell'Antartide (polo sud) con montagne sopra i 3.000 metri: in questo caso l'acqua che da essi si scioglie finirebbe per innalzare il livello dell'oceano mandando sotto l'acqua tantissime metropoli, a cominciare da New York.
Il Trattato del 1982 e il paradosso Usa
m. d'e.
La convenzione delle Nazioni unite che regola i diritti e le attività minerarie in alto mare, il Trattato sul Diritto del Mare, approvata nel 1982, sancisce che la sovranità territoriale di uno stato può essere esercitata fino a una distanza di 200 miglia marine, tranne nel caso in cui il lo stato in questione presenti un reclamo. Se può dimostrare che i fondali di cui reclama la sovranità sono un prolungamento della sua piattaforma continentale, allora gli viene accordata l'estensione. Ma lo stato può presentare il reclamo solo entro 10 anni dalla ratifica del trattato. Per esempio la Norvegia lo ha ratificato nel 1996 e quindi non ha più diritto a reclami, mentre la Russia (1997) è al suo ultimo anno (questa è un'altra ragione per il suo gesto) mentre il Canada (2003) e la Danimarca (2004) hanno ancora tempo.
Già una volta l'Onu ha respinto la pretesa russa, sempre basata sulla dorsale di Lomonossov, di aggregare i fondali artici al proprio spazio marino.
Ma dove la nuova febbre polare sta scatenando un dibattito accesissimo è negli Stati uniti che si trovano in una situazione paradossale. Come nel caso di moltissimi altri trattati internazionali, gli Usa non hanno mai ratificato il trattato sul Diritto del Mare. Come negli altri casi, per timori protezionistici, e per preservare le proprie tecnologie. Ma questo fa sì che, nonostante gli Usa siano uno stato rivierasco dell'Artico (con l'Alaska) e si affaccino sul Nord Atlantico, non possono sedersi a nessun tavolo di trattative. Né spartirsi nessuna torta mineraria nascosta sotto i fondali artici. Sarebbe uno straordinario caso di eterogenesi dei fini se i russi con il loro gesto intriso di stantia retorica patriottica, portassero gli Stati uniti a firmare per una volta una convenzione internazionale.
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