Se il nanoscienziato ha paura
Abituati quali siamo a vedere dipinta l'opinione pubblica come una moltitudine di nevrastenici intimoriti dai progressi della scienza, arriva da uno studio americano una riparatrice inversione di ruoli. I ricercatori che lavorano con le nanotecnologie sono più preoccupati dei rischi associati al loro utilizzo di quanto non lo sia il comune cittadino. Secondo un studio condotto da Dietram Scheufele (università di Wisconsin-Madison), mentre il Joe di turno ha qualche timore generico - che ad esempio le nanotecnologie possano far diminuire i posti di lavoro, o essere usate da terroristi, o mettere a rischio la privacy - gli scienziati sono invece nettamente preoccupati dei rischi per la salute umana e l'ambiente.
Interessante la spiegazione addotta da Scheufele per questa discrepanza di percezione tra l'uomo della strada e quello di laboratorio: i ricercatori infatti avrebbero da tempo iniziato a discutere al proprio interno delle criticità e degli interrogativi legati all'uso di nanotecnologie; al contrario l'opinione pubblica sarebbe più esposta alla comunicazione mediatica, che tende a esaltare gli sviluppi positivi lasciando in ombra i dubbi e i pericoli.
L'incertezza degli scienziati deriva dal fatto che si sa ancora troppo poco degli effetti delle nanoparticelle sul corpo umano e sull'ambiente, e che la ricerca al riguardo sta procedendo in modo poco coordinato, senza un quadro normativo chiaro da parte dei governi. La manipolazione della materia su scala ultrapiccola (si parla di nanometri, che equivalgono a un milionesimo di millimetro) trasforma infatti il comportamento e le proprietà delle sostanze: il che può essere utile, ma anche molto pericoloso. Ma il grande pubblico, questa volta, non se ne cura.
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