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Ambiente e questioni di genere

Il ruolo delle donne nella gestione dei mutamenti climatici e nella riduzione dei disastri
11 dicembre 2007
Lorena Aguilar (IUNC – The World Conservation Union)
Fonte: da Persona a Persona 11/07 (www.pangeaonlus.org) - 11 dicembre 2007
A differenza di molte altre comunità in Honduras, quella di La Masica non riportò vittime dopo il passaggio dell’Uragano Mitch nel 1998. Sei mesi prima, l’ente per i disastri aveva formato la comunità sui sistemi di preallarme e di gestione dei pericoli con un’attenzione al genere. Risultato: la comunità coinvolse equamente uomini e donne nelle attività di gestione dei disastri e le donne sostituirono gli uomini nel compito, da tempo abbandonato, di monitorare costantemente il sistema di preallarme. Tutti furono perciò in grado di evacuare l’area rapidamente all’arrivo dell’uragano.
In zone soggette a periodiche siccità o inondazioni, uomini e donne hanno anche sviluppato strategie di adattamento complesse, differenziate a seconda del genere, per far fronte ai cambiamenti climatici stagionali, incluso la mobilità, piani di accesso alle risorse idriche e al pascolo, diversificazione dei raccolti e dell’allevamento e scambio di relazioni con le popolazioni sedentarie e urbane.
Il mutamento ambientale dovuto al clima è alla base delle migrazioni: gli uomini migrano più spesso delle donne, sia stagionalmente sia per un certo numero di anni. Nelle aree aride, le famiglie con a capo una donna sono spesso le più povere e le mogli dei migranti stagionali possono non ricevere rimesse o restare senza fonti di entrate. Il carico di lavoro per queste donne e per i loro figli e per gli anziani della famiglia aumenta in maniera significativa a risultato della partenza degli uomini.
Durante le emergenze, le donne hanno meno probabilità di accedere alle informazioni rispetto agli uomini. Nel 1991, in Bangladesh le donne soffrirono di più per le conseguenze del ciclone e delle inondazioni. Tra le donne da 20 a 44 anni, il tasso di mortalità fu del 71 per mille, comparato al 15 per mille degli uomini. Gli avvisi di allerta furono trasmessi dagli uomini ad altri uomini in spazi pubblici, ma raramente comunicati al resto della famiglia. Le donne non avevano il permesso di lasciare la casa senza un uomo e molte di loro morirono in attesa che un parente maschio ritornasse a casa e le portasse in un luogo sicuro.
Le donne costituiscono l’80% dei rifugiati e degli sfollati nel mondo e nelle situazioni di emergenza le donne e i bambini rappresentano circa il 70-80% di quanti hanno bisogno di assistenza.
Senza un accesso sicuro alle risorse naturali (terra, acqua, bestiame e alberi) e senza un controllo su di esse, le donne hanno meno probabilità di affrontare i cambiamenti climatici permanenti o di voler investire in misure che mitighino i disastri.


Un’ottica di genere nelle politiche di gestione dei cambiamenti climatici.
Le misure di adattamento al cambio climatico, incluse quelle contro la desertificazione, richiedono un lavoro intenso e dalle donne ci si aspetta che contribuiscano gratuitamente agli sforzi per la conservazione del suolo e dell’acqua. Troppo spesso queste misure si focalizzano sui bisogni pratici delle donne (es. acqua potabile, legna da ardere) piuttosto che sui loro interessi strategici, come la partecipazione ai processi di pianificazione e controllo dei mutamenti climatici.
Più donne che uomini lavorano nel settore informale e nelle piccole imprese, maggiormente colpiti e meno capaci di riprendersi dagli effetti dei disastri, a causa dell’esiguo capitale accumulato, del più scarso accesso al credito e alle informazioni.
La questione di genere non è stata considerata nei discorsi e nelle iniziative circa i cambiamenti climatici. Le risposte internazionali alle implicazioni dovute a tali mutamenti si sono focalizzate soprattutto su iniziative volte alla mitigazione (riduzione di emissioni di gas serra) e hanno posto minor attenzione alle strategie di adeguamento (assistenza all’adattamento all’impatto avverso del cambiamento climatico sul cibo, sulla famiglia e sulla sicurezza). Hanno anche mostrato scarsa considerazione per gli effetti sociali dei mutamenti climatici, per le minacce che questi rappresentano per i poveri e per le modalità con cui la politica e l’economia influenzano la capacità di rispondere alle sfide del cambiamento climatico.
Ci sono quattro principali opportunità per affrontare le discriminazioni di genere insite nei programmi e nelle politiche relative ai mutamenti climatici:
  • Comprendere e affrontare i modelli di utilizzo delle risorse, specifici per genere, che possono degradare l’ambiente (es. la deforestazione dovuta a pratiche agricole inappropriate o a deboli diritti di proprietà).
  • Riconoscere che le donne sono più vulnerabili alla povertà rispetto agli uomini e perciò hanno specifiche necessità negli scenari influenzati dai mutamenti climatici (es. inondazioni, siccità, disastri).
  • Identificare le particolari abilità delle donne relativamente alle entrate economiche della famiglia e alla gestione delle risorse naturali che le porta alla riduzione degli impatti negativi.
  • Rafforzare la quantità e qualità della partecipazione delle donne nelle decisioni circa la riduzione degli impatti negativi e nell’adattamento ai cambianti climatici.

Perché le donne fanno la differenza.
La considerazione degli interessi delle donne nella riduzione delle conseguenze dei disastri e nella preparazione ad affrontarli ha migliorato il benessere delle comunità durante e dopo le emergenze.
L’analisi di target sensibili al genere, l’identificazione di aree sicure per gli abitanti dei villaggi in caso di inondazioni; la determinazione di sistemi di preallarme, di monitoraggio e comunicazione in caso di cicloni; la ricerca sulle pratiche di ripresa dei locali e la creazione di fondi di emergenza accessibili alle donne possono aiutare i poveri ad affrontare i rischi associati ai disastri naturali. Mettere le donne a capo di sistemi di distribuzione del cibo porta a ridurre la corruzione, a una sua distribuzione più equa tra i nuclei familiari retti dall’uomo e quelli retti da una donna (i sistemi supervisionati dagli uomini tendono a non considerare i nuclei familiari che hanno come capo una donna) e a un calcolo più preciso dei pacchi di alimenti destinati a ogni famiglia sulla base dei membri della stessa. Grazie a un migliore accesso alle tecnologie e al credito, le donne hanno avuto maggiori probabilità di aumentare la loro efficienza nell’utilizzo di energie rinnovabili e nel ridurre gli impatti del cambiamento climatico. Un accesso più sicuro alle risorse è risultato in una minore deforestazione e nella conservazione dei bacini di carbone.
Un avanzamento nei diritti di proprietà del bestiame ha aiutato le donne che vivono in zone aride a nutrire la propria famiglia e ad avere un reddito, anche in tempi di siccità e quando i capifamiglia sono emigrati nelle città.
L’aumento del reddito familiare ha ridotto la necessità degli uomini di emigrare verso le zone urbane o altre aree, aumentando così la disponibilità di manodopera agricola per attuare pratiche anti-desertificazione o di recupero del territorio e consentire la trasmissione, sia agli uomini sia alle donne, delle pratiche tradizionali di gestione dell’ecosistema.
Alle donne, nei Paesi dell’America Latina e dell’Asia, solitamente, non viene insegnato a nuotare, la capacità di nuotare ha invece evitato a molte donne di annegare durante le alluvioni.
I corsi sulla mascolinità hanno aiutato gli uomini a far fronte alle consuetudini sociali negative imposte al loro genere: durante i disastri, le norme culturali relative a cosa significa “essere uomo” possono incoraggiare ad azioni eroiche rischiose e inopportune; rendere gli uomini meno inclini a cercare consiglio; aumentare il livello di violenza domestica e portare a un maggior consumo di alcool e droghe come modalità per affrontare le difficoltà.
Note: da Persona a Persona - Fondazione Pangea Onlus
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