Diritti ambientali. Come è attuata in Italia la Convenzione di Aarhus?
OSSERVAZIONI SUL RAPPORTO DEL MINISTERO DELL’AMBIENTE SULL’ATTUAZIONE DELLA CONVENZIONE DI AARHUS
L’attuazione della Convenzione di Aarhus a Taranto
La “Convenzione di Aarhus” (1998) è la Convenzione della Comunità Europea sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale; essa è stata ratifica e resa esecutiva in Italia dalla legge 16 marzo 2001, n. 108. Il principio generale che la sottende, ribadito nel più recente DPR 195/2005, è che “l’autorità pubblica rende disponibile l’informazione ambientale a chiunque ne faccia richiesta”. E’ evidente che l’informazione ambientale viene garantita al cittadino proprio perché egli possa esercitare il suo diritto di partecipazione ai procedimenti. Questo diritto spetta alle associazioni che tutelano il diritto all’ambiente salubre, nonché ai cittadini che subiscono gli effetti dell’inquinamento ambientale.
A maggio 2005 l’Italia ha presentato il proprio rapporto sull’applicazione della Convenzione ed è impegnata ad aggiornare tale rapporto entro dicembre 2007 per fare in modo che sia presentato e valutato nella Conferenza di giugno 2008.
Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare qualche giorno fa ha pubblicato sul proprio sito la bozza del “Primo Aggiornamento del Rapporto Nazionale sull'attuazione della Convenzione di Aarhus” ed ha sollecitato il “pubblico” ad inviare commenti, integrazioni e segnalazioni entro il 18 dicembre 2007.
Per tutto quello che è accaduto finora in materia ambientale, si dovrebbe scrivere un intero trattato su come la “Convenzione di Aarhus” è stata disattesa a Taranto, pur dichiarata “area ad elevato rischio ambientale” con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 30 Novembre 1990 e con DPR 23 Aprile 1998. Ne manca il tempo, per la scadenza capestro del 18 dicembre 2007 scaturita da un iter che in extremis salva solo la forma: se la normativa prevede una seria consultazione del “pubblico” che non sia solo formale, è necessario che la documentazione sia messa a disposizione dei cittadini con informazione ampia e trasparente e soprattutto in tempo utile.
Per mancanza di tempo, quindi, il “Comitato per Taranto”, associazione di cittadini liberamente costituitasi in difesa dell’ambiente e della salute della cittadinanza ionica, è costretto a presentare come integrazione alla bozza ministeriale solo le osservazioni, anomalie e incongruenze rispetto alla Convenzione di Aarhus individuate nella vicenda della procedura per l’AIA - Autorizzazione Integrata Ambientale - per lo stabilimento Ilva di Taranto. Esse sono state inviate, a suo tempo, alla Direzione Generale Salvaguardia Ambientale del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare dal “Comitato per Taranto”, da altre 23 organizzazioni locali affini (incluso Legambiente, Italia Nostra, WWF, LIPU, AIL e UIL) e da singoli cittadini.
Inadempienze procedurali rispetto al principio fondamentale Aarhus
Sulle procedure AIA, il “pubblico” di Taranto è rimasto all’oscuro a lungo. L’avvio di quella per Ilva Taranto è avvenuto con quattro mesi di ritardo ed ha “bruciato” metà del tempo residuo disponibile per emettere l’autorizzazione stessa.
Per rendere effettivamente accessibile al “pubblico” l’informazione ambientale, riteniamo che ai “Gestori” degli impianti debba essere imposto di pubblicare l' “annuncio pubblico dell’avvio della procedura AIA” anche su 2 quotidiani locali di maggiore diffusione nel luogo interessato anziché soltanto su un quotidiano nazionale che comporta il rischio che “il pubblico veramente interessato” rimanga all’oscuro di tutto, come stava per accadere a noi a Taranto. Come pure riteniamo che debba essere ridotta al minimo la documentazione “riservata” o “secretata” per il pubblico, comunque sostenuta con motivazioni ragionevoli, specifiche e rese pubbliche.
Sempre per rispettare il “principio di accessibilità”, si deve rendere più facile e più intuitivo l’accesso ai contenuti del sito DSA/aia di Minambiente, rendendoli così disponibili anche al “pubblico” non “specializzato in informatica”. E’ opportuno, inoltre, disporre che aia@pec.minambiente.it risponda alle richieste di informazioni provenienti da “pubblico” anche se privo di “e – mail certificata”: in altre parole bisognerebbe fare in modo che almeno la struttura di Minambiente sia totalmente in linea con “Aahrus” e con gli obblighi verso il “pubblico”.
In tema di obblighi, si ritiene opportuno segnalare che il documento DR013_02 “Rapporto conclusivo dell’attività ispettiva ai sensi del D.M. 5 novembre 1997”, molto importante ai fini della concessione o meno dell’AIA a Ilva Taranto, ora non appare più nel sito DSA/aia di Minambiente, mentre noi ne siamo in possesso avendolo “scaricato” dalla cartella “Altro” della domanda di Ilva Taranto.
Lacune e ritardi legislativi connessi con la Convenzione di Aarhus
Riteniamo indispensabile che il Ministero promuova ed ottenga la doverosa correzione legislativa che adegui il limite di emissione di diossina per gli impianti siderurgici italiani a quello vigente in Europa. E’ incomprensibile come tale gravissima incongruità non sia stata ancora eliminata nonostante segnalazioni “pubbliche” varie e addirittura interrogazioni parlamentari inascoltate. Ancora più sconcertante è constatare che, nella normativa nazionale per gli inceneritori, il limite di emissione della diossina è analogo a quello di riferimento per la siderurgia europea: non è noto chi e perché è riuscito a dimostrare al Legislatore nazionale che agli Italiani certe dosi di diossina fanno male non in assoluto ma a seconda del “produttore di diossina”. Tutto questo, probabilmente, non sarebbe avvenuto se fosse stato operante lo specifico “Osservatorio IPPC”, al quale il “pubblico” avrebbe posto il problema.
Il “pubblico” che desidera partecipare attivamente alle decisioni in materia ambientale incontra due “macigni”: la incredibile quantità di norme e la miriade di Enti e Strutture pubbliche preposte ad autorizzare, esprimere pareri, effettuare vigilanza e controllo sui fatti ambientali, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Il “pubblico” non specialista che voglia capire e valutare, ad esempio, una qualsiasi “Determinazione” di Dirigenti di Istituzioni pubbliche preposti al settore ecologia, entra in uno scoraggiante labirinto. La prof.ssa Rita Cellarino, attuale Direttore scientifico della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, ha fotografato, fin dal 2002, la “babele” tutta italiana del settore, che consente fantasiosi escamotage e che non è stata modificata in maniera significativa dai D. Lgs. 59/2005 e 152/2006. Il volume edito annualmente da Il Sole 24 Ore SpA con il titolo di “Codice dell’ambiente”, rende bene la situazione: è un unico volume più alto che largo, di oltre 4200 pagine, pur essendo stampato con caratteri “da lente d’ingrandimento” e pur presentando, spesso, leggi e decreti privi dei corposi allegati. Riteniamo che il Ministero debba avviare una vigorosa azione di snellimento, semplificazione e razionalizzazione della materia ambientale, nell’interesse pubblico.
La lentezza degli organismi italiani (Parlamento, Governo, Ministeri, Regioni, Enti Locali, ecc.) provoca disastri a carico del “pubblico” che nessuno quantizza. Valga per tutti l’esempio della vicenda dell’AIA. Nel 1996 viene pubblicata la Direttiva europea 61/96/CE, la cosiddetta “IPPC”, con cui vengono fissate le regole europee sull’AIA. L’Italia la adotta tre anni dopo, con il Decreto Legislativo n. 372 del 4 agosto 1999. L’art. 4, comma 11 del Decreto nazionale stabilisce che tutti gli impianti italiani devono essere in possesso di AIA entro il 30 ottobre 2007, cioè la data fissata nella “IPPC europea” del 1996. Sei anni dopo, viene emesso il D. Lgs. 59/2005, che integra e sostituisce il D. Lgs. 372/1999, senza modificare, però, né i contenuti dell’AIA, nè la data entro cui gli impianti devono esserne in possesso. In Italia, la scadenza ultimativa del 30 ottobre 2007, è quindi fissata e nota almeno dal 1999, come pure è noto che l’impianto privo di AIA potrebbe proseguire nell'esercizio provvisorio solo dietro proroga tassativamente non superiore a 6 mesi. Ebbene, undici anni dopo l’emanazione della 61/96/CE, allo scoccare della scadenza del 30 ottobre 2007, non è stata emessa neanche una AIA di responsabilità dello Stato centrale (Minambiente) e quella data è stata prorogata, impudicamente, di 6 mesi, in barba agli interessi dei cittadini costretti a convivere per altri 6 mesi con impianti privi di AIA e pertanto fuori dai vincoli e controlli imposti da una rigorosa normativa “europea”.
Infine, il giudizio sulla applicazione in Italia della “Convenzione di Aarhus” è scritto nella quantità di “Osservazioni del pubblico” sulle centinaia di domande di AIA pervenute al Ministero dell’ambiente: sono meno delle dita di una mano, incluso quelle presentate dal “pubblico” di Taranto sulla domanda di AIA per l’Ilva di Taranto.
In conclusione, il “Comitato per Taranto” ha un interesse diretto verso lo stato di crisi ambientale in cui versa il territorio di Taranto con gravi ripercussioni sullo stato di salute dei cittadini vittime di un contesto ambientale deteriorato e sottoposto a rischio per la presenza di aziende ad elevato rischio ambientale e di incidenti rilevanti. In ragione di tutto quanto esposto il “Comitato per Taranto” è fortemente insoddisfatto su come, finora, è stata applicata la “Convenzione di Aarhus”.
Taranto 16 dicembre 2007
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