A proposito di latte e Pcb
Egregio Direttore,
Nello scorso mese di dicembre si è registrato un elemento di preoccupazione per i consumatori di latte e latticini del bresciano, oltre che per gli agricoltori produttori di latte: la notizia del riscontro di livelli superiori alla norma (6 picogrammi/g di grasso) di composti di diossina e di alcuni Pcb «diossina simili» in campioni di latte prodotto in alcune aziende agricole di Brescia e di San Zeno. Per nostra fortuna, tutto il latte «fuorilegge» non è mai stato accettato, e subito distrutto, dalla Centrale del latte, così come quello dei giorni successivi. I sistemi di controllo e di qualità hanno svolto egregiamente i propri compiti, a tutela dei consumatori, evidenziando che i prodotti sono indenni da quei composti. Tutto sotto controllo, dunque? Non esiste alcun problema? Credo proprio di no, se consideriamo che quanto rilevato nel latte sia l’indicatore della contaminazione di ciò che sta a monte, ovvero il terreno che produce il foraggio mangiato dalle mucche produttrici di quel latte inquinato.
Per questo motivo, Asl e Provincia di Brescia, si sono attivate per ricostruire con gli allevatori che cosa e da dove proviene il foraggio che le loro mucche hanno mangiato negli ultimi mesi, e per individuare i singoli appezzamenti di terreno coltivati a foraggio. Si pianificheranno, poi, le necessarie indagini sul suolo e su altre matrici biologiche, oltre che sulla popolazione eventualmente esposta. In attesa dei primi risultati, già oggi, sulla base degli elementi di conoscenza a disposizione, si possono e si devono sviluppare alcune osservazioni e pensare ai possibili interventi.
In primo luogo, la distribuzione spaziale delle aziende più coinvolte, e dei terreni da esse coltivati, sia in città -Violino a est, via Flero, via San Zeno, via Case Sparse a sud, viale Bornata a ovest - che nel Comune di San Zeno, unita al fatto che anche altri allevamenti producono latte con valori inferiori al tenore massimo, ma al di sopra del livello d’azione raccomandato, suggerisce che siamo di fronte al manifestarsi di un fenomeno di inquinamento del suolo diffuso su un’area vasta.
E’ una novità che ci coglie del tutto impreparati? Assolutamente no, se andiamo a riprendere i risultati di tre campagne di campionamento dei suoli di città e hinterland, effettuate negli anni ‘94, ‘96 e ‘97 a cura dell’Asl di Brescia, su commissione del Comune di Brescia, finalizzate a conoscere lo stato dei suoli prima dell’avviamento delle prime due linee del Termoutilizzatore Asm, avvenuto nella primavera del 1998.
I punti di campionamento di quelle campagne furono individuati dall’Asl secondo una griglia stesa sul territorio, a maglia fitta nell’area intorno al luogo dove sarebbe sorto l’impianto, e poi sempre più larga indagando non solo il territorio del comune di Brescia, ma anche molti altri comuni con uno o più punti di prelievo: San Zeno, Borgosatollo, Castenedolo, Mazzano, Rezzato, Calcinato, Nuvolento, Botticino, Cellatica, Gussago, Roncadelle, Ospitaletto, Castegnato, Travagliato, Torbole Casaglia, Capriano del Colle, Flero.
Nei campioni di terreno si determinarono, in particolare, i Pcb, le diossine e molti metalli pesanti. Rispetto alla problematica di cui stiamo trattando, vale la pena ricordare che quantità di Pcb (da pochi microgrammi a centinaia di microgrammi per kg di terreno, con valori distribuiti per la maggior parte tra i 10 e i 50 mcg/kg, ricordando che il limite di legge per le aree verdi e residenziali di Pcb nel suolo era di 1 mcg/kg con il Decreto 471/99, modificato dal Governo Berlusconi con il Decreto 152/2006 in 60 mcg/kg) furono riscontrate in tutti i punti del territorio cittadino e degli altri Comuni. Perché solo adesso si riscontrano partite di latte con valori superiori alla norma? Perché è solo dal dicembre 2006 che l’Unione Europea ha disposto di analizzare e considerare anche i Pcb «diossina simili», fino ad allora esclusi dal calcolo della tossicità da composti organoclorurati nei prodotti alimentari.
È verosimile, quindi, che si stia manifestando il risultato amaro di oltre cent’anni di industrializzazione del nostro territorio e dei modi di vita della nostra società, difficilmente riconducibile a singole sorgenti, senza escludere, inoltre, casi specifici che hanno dato vita per anni a condizioni di inquinamento eclatanti.
Peraltro, la consapevolezza che il territorio comunale presentasse emergenze ambientali quali eredità di industrie ad alto impatto ambientale, ha indotto il Comune di Brescia ad affiancare le indagini e gli approfondimenti sul sito inquinato a sud della Caffaro con una «Analisi storico-ambientale del territorio del Comune di Brescia», la cui relazione (consegnata nel 2004) è agli atti ed è disponibile per chi fosse interessato. Da quella ricerca si può ripartire per contestualizzare ed approfondire quanto ci indicano le analisi del latte di questi giorni.
Come troppo spesso accade a Brescia, anche questa volta, su un argomento così complesso e bisognoso di essere trattato con il dovuto rigore scientifico, si sono espresse più voci della politica e delle associazioni, più interessate a dimostrare propri teoremi che a capire la situazione e trarre delle valutazioni coerenti, abbinando spesso con malizia mezze verità e mezze menzogne. Il tutto finalizzato anche allo scopo di lucrare qualche facile consenso e mettere in cattiva luce gli avversari politici. Ne è un esempio il segretario cittadino della Lega Nord, Fabio Rolfi, con i suoi ripetuti interventi sulla stampa, nell’ultimo dei quali afferma che «...non sono state compiute adeguate mappature del territorio», dimostrando di ignorare, come al solito, tutti i dati già a disposizione dei cittadini sullo stato dei suoli. Nel chiedersi, poi, come mai solamente ora si scopra il problema e che cosa sia cambiato in questi anni, pur facendo riferimento al traffico e all’industrializzazione cittadina in generale, Rolfi una sorgente certa dell’inquinamento la individua: il Termoutilizzatore Asm! Per il segretario politico della Lega Nord, dieci anni di funzionamento di questo impianto cancellano e sovrastano oltre cento anni di industria pesante a Brescia. Impianto per il quale rivendica il rinnovo dell’Osservatorio comunale (Otu), quando è del tutto operante e lui stesso ne è membro, salvo non avere partecipato da anni ai lavori dell’organismo.
Stendiamo anche un pietoso velo sulle polemiche circa le centraline depotenziate o rimosse, di cui peraltro Rolfi potrebbe chieder conto al competente Assessorato della Regione, amministrazione dove la Lega Nord governa da un decennio lottizzando posti anche in enti che dovrebbero essere mantenuti al di fuori di tali logiche, dalle Asl ai Dipartimenti provinciali Arpa.
Per approfondire e misurare i microinquinanti organici (Pcb e diossine) nell’aria non abbiamo bisogno, comunque, di centraline generiche ma di strumenti di campionamento in grado di captare anche la fase vapore, oltre che quella corpuscolata. A tal fine, il Comune di Brescia ha programmato e finanziato tre specifiche campagne di campionamenti curate dall’Istituto Mario Negri di Milano, avviate nel mese di agosto 2007 con l’effettuazione di rilevamenti in sei postazioni ben distribuite sul territorio cittadino. I risultati sono al vaglio dell’Istituto Superiore di Sanità, mentre altre campagne seguiranno durante questo inverno e in estate.
A proposito di qualità dell’aria e di sorgenti inquinanti attualmente attive, Termoutilizzatore compreso, molti dimenticano o, peggio ancora, non sanno, che disponiamo del rapporto sullo «Studio di dispersione atmosferica di inquinanti emessi sul territorio bresciano» realizzato per conto del Comune di Brescia dalla prof.ssa Giovanna Finzi e dall’ing. Marialuisa Volta della Facoltà di Ingegneria - Dipartimento di Elettronica per l’Automazione. Lo studio, disponibile sul sito www.comune.brescia.it , fornisce una valutazione modellistica dell’impatto sulla qualità dell’aria delle diverse sorgenti di emissione presenti nel Comune di Brescia e nei Comuni limitrofi, compresi in un’area di 30x30 kmq.
L’applicazione del modello ha comportato l’analisi dei fenomeni atmosferici che regolano la dispersione degli inquinanti e la messa a punto di un inventario delle principali sorgenti di emissione in atmosfera, sia lineari (traffico), che areali (impianti civili di riscaldamento), o puntiformi (industrie e centrali termoelettriche). In particolare, per quanto riguarda i microinquinanti, è risultato che la quasi totalità delle emissioni (99,8%) è dovuta alle sorgenti industriali, a fronte di un contributo trascurabile del Termoutilizzatore, riconducibile all’avanzata tecnologia impiantistica adottata per l’abbattimento delle emissioni.
Su un altro versante intervengono anche le associazioni di rappresentanza degli agricoltori. Queste, anziché prendere atto da subito della gravità della situazione e della necessità di porvi rimedio guardando al futuro delle aziende agricole - senza indugiare ad anteporvi la ricerca su chi è stato e quando, cosa sicuramente da fare parallelamente al resto, anche per richiedere il dovuto risarcimento - polemizzano con il sottoscritto per il fatto di essermi permesso di adombrare il dubbio se sia ancora possibile produrre alimenti di qualità coltivando suoli in qualche modo compromessi o se sia giunto il momento di pensare a produzioni agricole del tutto o parzialmente diverse da quelle attuali, ad esempio prodotti per l’agroenergia.
Infatti, sono convinto che occorra guardare in faccia la realtà con grande senso di responsabilità verso i consumatori, tutti noi, e verso gli agricoltori per trovare le giuste soluzioni che permettano di indirizzare le aziende cittadine e dell’hinterland verso un futuro produttivo certo e prospero, aziende altrimenti destinate a vita incerta, dipendenti in eterno dall’esito di costosissime analisi a cui sottoporre sistematicamente e periodicamente i prodotti destinati all’alimentazione umana.
Vi sono fondi europei e regionali per lo sviluppo rurale e per programmi di forestazione che possono essere resi disponibili allo scopo, così come non sarebbe fuori luogo sostenere anche economicamente le aziende, come si fa nei casi di epidemie che colpiscono gli allevamenti o di calamità naturali. Certo tutte le istituzioni che hanno responsabilità in merito devono farsi carico del problema e non lasciare soli gli agricoltori.
Concludo constatando con piacere che mi pare condivisa la proposta che ho avanzato da subito - anche sulla scorta di un’esperienza in corso da mesi presso il mio Assessorato sulle problematiche emerse nelle aree agricole inquinate a sud di Chiesanuova - di aprire un tavolo operativo per affrontare sia la fase attuale di emergenza che quella a lungo termine, col duplice scopo di tutelare i consumatori ed allo stesso tempo le imprese agricole, consapevole anche della loro funzione di salvaguardia e cura del nostro territorio.
ASSESSORE AMBIENTE E ECOLOGIA DEL COMUNE DI BRESCIA
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