Decalogo per riemergere dall' immondizia
La rivoluzione a partire dai rifiuti solidi urbani? Si può (si potrebbe),a prenderli come occasione per riorganizzare l'intero sistema di produzione e consumo. L'Obiettivo zero waste («rifiuti zero»), proposto da una rete internazionale coordinata dal docente di chimica statunitense Peter Connet e alla quale aderiscono molte città del mondo, annulla lo pseudodilemma «inceneritore o discarica». Non per nulla la declinazione italiana di Zero waste, la Rete nazionale rifiuti zero, promuove fra l'altro un digiuno a catena contro gli inceneritori al quale da molto tempo partecipano attivisti di Trento e provincia, Roma e Lazio, Genova e Forlì.
Zero waste va oltre perfino la pur indispensabile raccolta differenziata più riciclaggio. I rifiuti, infatti, si annullano a monte, in un'interazione di ruoli e responsabilità fra i vari attori e livelli: legislatore nazionale, industria e distribuzione, istituzioni locali (e ce ne sono molte di virtuose), cittadini. Le pratiche delle comunità, quali il riuso, la riparazione, il riciclaggio e il compostaggio vanno collegate con le pratiche industriali, che le leggi devono incentivare ma anche rendere obbligatorie: dall'eliminazione delle sostanze tossiche alla riprogettazione degli imballaggi e dei prodotti. Delle merci va considerato l'intero ciclo di vita, per cercare le inefficienze a ogni stadio.
Vivere senza scarti
- Apposite leggi dovrebbero proibire o almeno disincentivare gli usa e getta (imballaggi sostituibili bottega/casa - si pensi agli shopper, di qualunque materiale - od oggetti monouso). Proibire anche gli oggetti che non si possono riciclare o riusare facilmente. Rendere obbligatorio il riporto di imballaggi e prodotti alla fine della loro vita utile, con obbligo del produttore di riprenderseli e gestirli (responsabilità industriale).
- «Se una comunità non può riutilizzare, riparare, riciclare o compostare un dato oggetto o materiale, allora le industrie non dovrebbero produrli», sostiene Zero Waste. Come scrive il professor Giorgio Nebbia, merceologo e ambientalista, «la salvezza può essere cercata soltanto nelle azioni della prima R (riduzione): sia diminuzione della massa dei rifiuti, sia progettazione di merci con minori rifiuti nella produzione e dopo l'uso».
- Almeno nei casi di emergenze locali, perché non vietare il maggior numero possibili di imballaggi?
- Ci vorrebbe un premio non solo per i comuni ricicloni ma anche per quelli che riescono ad abbattere a monte il rifiuto pro capite prodotto sul proprio territorio, non solo a raccoglierlo e riciclarlo meglio (ci sono sempre perdite di energia e materiali anche nel miglior riciclaggio).
- E a quando la promozione di feste nazionali e locali senza alcun usa e getta, nemmeno riciclabile?
- Il rapporto diretto produttore-consumatore, gli acquisti vicini e la riduzione dei passaggi commerciali sono un modo per ridurre anche i rifiuti da imballaggi e da contenitori. I gruppi d'acquisto ne sono un buon esempio e alcuni enti locali cominciano a favorirli.
- Quanto ai cittadini, dovrebbero essere incentivati a ridurre a monte i materiali che escono da casa come scarto, e dunque quelli che entrano. Cambiando le abitudini di acquisto. Ecco alcuni esempi. Per i materiali organici, in attesa del servizio comunale (da pretendere!), si può anche fare il compostaggio sul balcone - almeno i più bravi - o nel giardino condominiale con le compostiere; in alcuni comuni per chi lo fa è prevista una riduzione della tariffa. E si possono anche minimizzare gli scarti di cucina con gustosi inaspettati risultati (usare le bucce se bio, non avanzare cibo ecc.). Per l'inorganico, evitare gli usa e getta, non comprare cose di facile rottura, non seguire le mode, cambiare le abitudini di consumo: bere acqua del rubinetto, far la spesa con le buste di tela, comprare materie prime anziché bottigliame lattiname scatolame (l'onnipresente passata di pomodoro, è facilissimo e rapido farla in casa riciclando le bottiglie di vetro anno per anno!). Si può vivere senza pattumiera, insomma.
Uso e riuso, che cultura!
- Scuole e istituzioni possono fare un'opera di educazione dei cittadini all'uso e al riuso per uscire dalla inciviltà dell'usa e getta, non solo degli oggetti e imballaggi monouso «per vocazione» ma anche di quelli che, pur durevoli, sono gettati via prematuramente anzi quasi subito.
- Occorrerebbero incentivi anche economici per allungare la vita agli oggetti.
- Molti posti di lavoro si possono promuovere senza usare altre materie prime, solo pescando nel giacimento del già esistente, che può essere rivenduto, rigenerato, riadattato senza trasformazioni industriali tipo il riciclaggio (si pensi alle sartorie che confezionano o aggiustano abiti con stoffe già esistenti).
- Alcuni enti locali e associazioni o cooperative intercettano gli oggetti prima del cassonetto e ne permettono il prelievo da parte di chi ne ha bisogno attraverso apposite isole ecologiche o riciclerie.
Differenziare per riciclare
- Insieme all'adozione dei sistemi di raccolta differenziata più efficienti (in Italia, il porta a porta), il passaggio alla tariffazione a peso e una considerazione separata dei rifiuti delle famiglie rispetto a quelli degli esercizi commerciali responsabilizzano gli utenti.
- Le vecchie discariche dovrebbero diventare ecoparchi industriali per il recupero e riciclaggio (ovviamente la premessa è che funzioni il circuito raccolta differenziata/riciclaggio, che crea posti di lavoro).
- Gli oggetti con materiali riciclati devono poi avere uno sbocco di mercato. Un modo per favorirlo è l'applicazione della normativa per gli acquisti pubblici verdi (e riciclati), ancora disattesa da molti enti pubblici.
Lo screening del residuo
Dopo tutte le cautele, il residuo che rimane deve essere stabilizzato e smaltito in loco ma soprattutto scrutinato attentamente: per eliminarlo in quanto errore di progettazione, fabbricazione o consumo nel ciclo di vita del prodotto. Zero Waste suggerisce inoltre alle comunità che adottano la strategia Rifiuti zero di stabilire l'anno entro il quale non si dovranno più inviare rifiuti alla discarica «transitoria». Così il cambiamento di mentalità ha tempo di svilupparsi.
Sociale.network