I sette «peccati capitali» di Bassolino
Bene ha fatto Eugenio Scalfari ( la Repubblica, 6 gennaio) a invitare Bassolino a dare le dimissioni per i disastri di Napoli. È riuscito, infatti, a stanarlo dal vago delle dichiarazioni orali e a fargli mettere nero su bianco. Il giorno dopo, il governatore ha risposto sul medesimo giornale, con una sua serrata apologia. Apologia, non come quella nobilissima di Socrate, di messa a nudo delle incoerenze e delle inconsistenze argomentative dell'accusa. Ma aggressiva e arrogante, come quelle di Craxi, fondate sul rovesciamento delle parti, con l'accusato che si fa accusatore e viceversa.
Il governatore, però, va oltre il modello craxiano. Perché, mentre Craxi gioca alle ammissioni corpose, ma per riconoscersi colpevole in una massa sconfinata di colpevoli, per dire che, dove tutti sono colpevoli, nessuno è colpevole, Bassolino ammette a fior di labbra appena appena un fuscellino di colpa, come la pagliuzza nell'occhio dell'imputato secondo il racconto evangelico. Tutto il suo impegno è nel buttare fango a secchi pieni sugli «altri», su quelli che fanno muro contro di lui, che «si sono costruite carriere politiche e fortune elettorali» (senza chiedere permesso a nessuno), e che si ritrovano in oggettiva solidarietà con «la manovalanza della camorra», con «delinquenti comuni », con tanta altra pessima genìa.
Contro questa gente qua, che ha avuto un ombrello protettivo nel fondamentalismo e nel radicalismo degli ambientalisti e nelle scelte conservatrici del clero, egli ha lottato eroicamente in solitudine, come autocertifica l'interessato, riuscendo a fare poco di quel molto che aveva in animo di fare. In coerenza, però, con la linea seguita, è la sorprendente e arrogante conclusione, egli non solo non dà le dimissioni, ma annunzia di «portare avanti la battaglia di civiltà condivisa da tutti gli italiani onesti». Lasciando intendere che chi è contro di lui, è dalla parte degli italiani non onesti.
Dacché il governatore chiama in causa gli italiani onesti, io, come cittadino che ha posto l'onestà e la chiarezza a fondamento della propria vita, penso di dover rispondere. E dico ad Antonio Bassolino che mi dissocio da lui. E questo l'ho detto e scritto, quando don Antonio era in auge e tutti gli stendevano tappeti ai piedi. Non ho aspettato che arrivassero i tempi difficili per lui, per cantargliela.
Le ragioni della dissociazione sono tante e tutte gravi. Le maggiori, le raccogliamo in sette punti, quanti sono i peccati capitali: 1) la cinica teatralità nel predicare bene e razzolare male, ma molto male; 2) la costruzione di una rozza signoria a Napoli in spregio degli impegni assunti per il mandato; 3) la svendita di un patrimonio ideale, che hanno ereditato le forze da cui il medesimo proviene, e lo svilimento e l'offesa nei fatti della politica in quanto istituzione; 4) l'aggravamento non inconsapevole delle contraddizioni della città e del territorio regionale; 5) l'indebitamento di Napoli che durerà almeno fino agli anni trenta di questo secolo; 6) lo sperpero dei denari pubblici; 7) il vulnus, che non si chiuderà presto, inferto all'immagine di Napoli in Italia e nel mondo.
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