«Puzza e asma, che vita nella discarica»
«Quando uscivi di casa sentivi la gola ardere dalla puzza, per troppo tempo abbiamo sofferto, ora non vogliamo mollare. La discarica qui non si deve fare». Un elicottero della polizia vola molto basso sulle piccole villette per sorvegliare il presidio di contrada Pisani mentre Antonella cerca di scavare nella memoria tra i ricordi sotterrati da tonnellate di spazzatura. Sotto quei cumuli a pochi passi da casa sua si nascondono vite gettate nel dimenticatoio per oltre quarant'anni da chi di volta in volta ha tentato di appropriarsi della discarica di via Montagna Spaccata. Prima la camorra, poi lo Stato, poi ancora a più riprese un po' l'uno e un po' l'altro. L'abitazione di Antonella dista pochissimi metri dalla discarica di Pisani, oggetto delle proteste che stanno mettendo a ferro e fuoco il quartiere di Pianura e dintorni.
Lei ha quasi cinquant'anni, da venti vive a contrada Pisani con il marito e due figli ormai sulla trentina che nella banlieue della discordia tornano soltanto per dormire. «Non ho mai voluto che i miei figli frequentassero le scuole della zona - racconta Antonella - sono andati a scuola a Soccavo o qui vicino a Quarto. Nonostante questo hanno sempre sofferto di bronchite. Del resto anche io soffro di asma da quando mi sono trasferita qui, subito dopo essermi sposata. Non ho mai avuto problemi legati alla respirazione, mentre invece ora mi trovo a conviverci».
Nel 1996, da quando è stato chiuso lo sversatoio, la zona dei Pisani è tornata a respirare un po', gli alberi nei giardini hanno ripresto a dare frutti. Per i residenti giorno dopo giorno ogni angolo sembrava una scoperta e la notte finalmente è diventata tranquilla, dopo decenni in cui con il tramonto inizia il «pellegrinaggio» dei camion per sotterrare i veleni. «Un mio cugino ha lavorato per anni nella discarica ed è morto con un tumore - racconta la donna - è stato lui a raccontarmi quello che erano costretti a sotterrare ogni notte. Quando il camion arrivava gli addetti dovevano sganciare la parte dell'autotreno che conteneva i bidoni sigillati con i rifiuti e ricoprirla. Non potevano neanche toccarla, sarebbe stato quasi letale».
Nei terreni della discarica in quarant'anni pare sia stato nascosto di tutto. Dalla vecchia carcassa di una balena che alla fine degli anni '80 si arenò a Genova, ai rifiuti della Fiat e i residui della centrale elettrica di Brindisi. «Da quando la discarica è stata chiusa tanti sono stati i progetti - continua Antonella - campi da golf e bonifica, ma la verità che ci hanno detto i tecnici venuti a fare le verifiche è una soltanto: quell'ammasso di rifiuti non si può smuovere altrimenti provocherebbe danni all'ambiente inimmaginabili». Una bomba tossica che i residenti di Pianura non vorrebbero avere, anche se il danno è ormai irreversibile.
«Certo - prosegue ancora Antonella - ma nel frattempo di cose ne sono successe. Mio cognato soffre di leucemia, sono decine i casini nel giro di pochi chilometri. Molti bambini sono affetti di cancro e le allergie sono diffuse ovunque, quindi non ci faremo abbindolare un'altra volta. Noi qui ci viviamo e non possiamo neanche andarcene. Se volessi vendere la casa dovremmo regalarla, io ci ho provato, per riuscirci avrei dovuto soltanto vendere a metà prezzo. Tutti sanno quello che c'è qui sotto e molti offerenti dopo aver capito l'ubicazione della villetta non sono neanche venuti agli appuntamenti. E' un luogo fantasma questo. E dire che paghiamo la stessa Ici che pagano a Posillipo, dal momento che la zona è ancora considerata comune di Napoli».
Antonella non si sente una cittadina, piuttosto un'ospite di Napoli. «Non potrei sentirmi altrimenti visto che in questi lunghi trent'anni di promesse ne ho sentite tante, ma mi ritrovo a vivere in uno dei posti più inquinati d'Italia, a pagare il camion dell'espurgo perché non sono stati capaci di costruire la rete fognaria e neanche di fornire la strada di qualche mezzo di trasporto. Senza contare che dalle cinque del pomeriggio in inverno qui regna il vero coprifuoco. Altro che quello di cui hanno parlato in questi giorni. In questo posto non sono mai venute tante persone come in questa settimana...»
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