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Buone Pratiche/1

Come ti riutilizzo il cibo in scadenza. Salvandolo dal bidone

L'esperienza di Last minute market ha permesso di risparmiare quest'anno 283 tonnellate di rifiuti alimentari. Ora si passa al «no food». Ma l'informazione è ancora scarsa e i progetti solo 13
15 gennaio 2008
Cinzia Gubbini

- Se tutti i punti vendita italiani si mettessero in rete - supermercati, ipermercati e cash and carry - e decidessero di donare gli alimenti destinati al macero, in Italia si eviterebbero 283 mila tonnellate di rifiuti, con un risparmio di 882 milioni di euro. «Non è incredibile? E perdipiù si tratta di una nostra stima risalente al 2005 quando ancora non lavoravamo con le mense scolastiche, industriali e delle caserme. Decisamente sottostimato». Il professore Andrea Segrè è il preside della facoltà di Agraria dell'università di Bologna. Ma di certo la sua più grande soddisfazione - cosa piuttosto rara in Italia - non è il titolo accademico quanto il fatto di essere l'ispiratore del progetto «Last minute market», che dal 2003 ha generato una cooperativa (Carpe Cibum) costituita da quattro suoi ex studenti, che a sua volta ha dato vita a 13 progetti di recupero in tutta Italia.

Il principio è semplice: ogni giorno i punti vendita si liberano di tonnellate di cibo. E non perché sia avariato. Ma perché il cliente pretende che il prodotto sia sempre perfetto, lucido e senza ammaccature. Che dire, poi, dei prodotti a cui mancano pochi giorni per superare la data di scadenza? Condannati al cassonetto. Gli studenti della facoltà di Agraria lo hanno scoperto nel '98, durante un seminario organizzato da Segrè che aveva invitato un suo ex allievo impiegato in un ipermercato. Per riuscire a mettere in piedi il primo progetto che permettesse a un negozio di donare il cibo in via di eliminazione alle associazioni che si occupano degli indigenti (ma quelli di Last minute li chiamano 'consumatori senza potere di acquisto'), ci sono voluti cinque anni: «Il primo muro sono state le Asl.

I manuali di autocontrollo degli supermercati erano piuttosto rigidi - spiega ancora Segrè - e sembrava a tutti impossibile che un prodotto uscito dalla catena e per questo classificato come rifiuto potesse cambiare veste e essere riutilizzato. Ovviamente si poteva fare benissimo: ci abbiamo messo diverse tesi di laurea, molta ricerca, la dimostrazione che bastava integrare quei manuali perché l'impossibile diventasse possibile senza rischi. Oggi le Asl sono le nostre migliori alleate».

Ma c'è stato bisogno anche di cambiare alcune leggi, come spiega una delle socie della coop Carpe Cibum, Sabina Morganti. E' stata proprio lei ad andare negli Stati uniti a studiare la cosiddetta «legge del buon samaritano», trasformata in Italia nella 155 del 2003, grazie alla lobby di vari soggetti tra cui il Banco Alimentare: «Non è proprio come negli Usa, ma funziona - spiega Morganti - in precedenza il supermercato era responsabile fino alla fine del prodotto donato, anche della sua conservazione. Invece ora anche il consumatore finale è responsabile di come conserva il prodotto che andrà a consumare. Questo ha creato un clima di maggiore fiducia». Che ha portato Last minute a recuperare nel 2007 ben 283 tonnellate di cibo. Ma non si sono fermati solo al cibo.

Ora il progetto riguarda anche i farmaci (che spesso vengono gettati soltanto per una confezione ammaccata, e comunque molti mesi prima della scadenza), nonché i prodotti agricoli. Con l'ultima Finanziaria, poi, si è aperto il campo del «no food» che finora non ha goduto della possibilità del recupero Iva, come invece il cibo. «Ma è solo una sperimentazione - spiega Segrè - ci sono alcune criticità, ad esempio il fatto che questi prodotti non avendo scadenza potrebbero essere rivenduti». Comunque, si può. Ma allora perché non lo fanno tutti? «Incredibile ma vero: poca informazione sul progetto - dice il professore - Certo, farlo funzionare non è una passeggiata. Ma posso assicurare che basta la buona volontà».

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