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Paul Connet sull'emergenza rifiuti a Napoli

«Fate di Napoli una S. Francisco»

Intervista a Paul Connet, teorico mondiale dei rifiuti zero: «Nella città americana solo il 35% in discarica. Vivere senza spazzatura si può. Il problema è la corruzione, perché gli inceneritori sono il nuovo business»
20 gennaio 2008
Simona Bonsignori

Paul Connet è docente di biochimica alla università St.Lawrence di Canton, nello Stato di New York. Teorico mondiale della strategia «rifiuti zero», ha tenuto conferenze in più di quaranta nazioni mettendo in luce i pericoli sanitari derivanti dall'incenerimento dei rifiuti e illustrando le possibili alternative. Lo abbiamo incontrato appena giunto in Italia in occasione di un tour vorticoso di incontri con i cittadini e gli amministratori locali, il primo dei quali con il presidente-commissario della Regione Lazio, Marrazzo, circa la disastrosa questione di Malagrotta a Roma, la più grande discarica d'Europa, in procedura d'infrazione perché esaurita da anni e oggetto di una class action contro i danni da inquinamento, nella quale è, appunto, in costruzione un inceneritore con recupero energetico (termovalorizzatore è un termine italiano per distrarre dal problema principale). «La ragione per cui vengo spesso in Italia è che ho la speranza che voi abbiate ancora la creatività di Leonardo e Galileo. I rifiuti sono un'invenzione umana quindi l'obiettivo è disegnare i rifiuti fuori dal sistema: una nuova sfida per l'industrial design - spiega Connet - La costruzione di ogni inceneritore, invece, porta indietro di 25 anni il nostro sviluppo. C'è un approccio stupido, avido e infantile allo spreco: come se le risorse e lo spazio fossero infiniti. Così non è. Anche i manager delle corporation, pur avendo il compito di far quadrare il bilancio trimestrale hanno dei figli. Devono convincersi, dunque, che il riciclo e il riutilizzo delle componenti non deteriorate non solo è possibile ma è anche economicamente vantaggioso.

La sua è un'ipotesi per il futuro o si tratta di strategie già in atto?
Esempi in tal senso non mancano: la Xerox ha un programma di riciclaggio dei materiali di consumo usati, come i toner. Inoltre ha sperimentato che ritirando le vecchie fotocopiatrici e riutilizzano le componenti non usurate ottiene un risparmio di milioni di dollari creando nuovi posti di lavoro. Questa è la grande novità. Indispensabile è, poi, l'investimento in ricerca per arrivare a una progettazione industriale che riduca gli sprechi e studi strategie di riutilizzo. Centri di ricerca mirati dovrebbero sorgere anche vicino alle discariche per studiare i differenti tipi di materiale. Inventare un sistema che cerca di controllare cosa esce fuori da una discarica è l'unico modo per controllare di conseguenza cosa vi entra e tentare di ridurlo.

Cosa accade, invece, con l'utilizzo degli inceneritori?
L'esatto contrario: tu fissi la quantità di rifiuto e non c'è modo di ridurla. Anzi il business sta nell'aumentare sempre più il tonnellaggio combusto. Gli inceneritori bloccano la via al riuso e alla riduzione. Altrimenti faremo la fine di Tokyo con i suoi 23 inceneritori (loro bruciano tutto) cinque volte tanto la media del mondo occidentale.

Quindi non è sufficiente il solo riciclo ma occorre una vera inversione delle politiche di sviluppo industriale, combinata con una riduzione dello spreco consumistico. Un patto tra il cittadino e l'industria vantaggioso per tutti.
Vantaggioso perché il ciclo di raccolta differenziata porta il costo a un terzo di quello attuale; perché gli impianti per il riciclaggio hanno una tecnologia meccanica semplice, economica e di rapida realizzazione; perché è un processo che impiega un quarto dell'energia necessaria all'incenerimento, riducendo spreco di risorse ed effetto serra; perché opera risparmi di scala sulla produzione industriale e incremento di posti di lavoro. Questo sistema produce un risparmio energetico che riduce di 46 volte (4.600%) il surriscaldamento globale.

Qual è stato il ruolo delle proteste e delle resistenze messe in campo dai cittadini contro soluzioni come gli inceneritori?
Determinante perché la pubblica amministrazione va condizionata. E gli Stati Uniti dimostrano che è possibile. Negli Usa l'incenerimento è la tecnologia più impopolare dopo quella nucleare. L'ultimo inceneritore costruito risale al 1995, da quel momento sono state rigettate ben 300 domande di autorizzazione per nuovi impianti. Anche se, attualmente, stanno tornando alla carica. Tuttavia la maggior parte dei rifiuti finisce ancora in discarica e lì hanno molto spazio. Ma a S. Francisco, che paragonerei a Napoli come popolazione (850.000 persone) e struttura (è una città portuale) si è raggiunto in breve tempo un riciclo del 65% con l'obiettivo del 75% nel 2010. La parte residua va ancora in discarica, ma non dimentichiamo che il 25% di quello che l'inceneritore brucia si trasforma in ceneri tossiche che comunque vanno smaltite in discariche speciali. L'emergenza di Napoli (come per ogni altra città) si risolve con un diverso e funzionale rapporto con le aree limitrofe, come è accaduto a San Francisco: la campagna esporta in città il riciclo, dove non è un problema il riutilizzo di carta, vetro, metalli, plastica. La città esporta l'organico compostato per la produzione agricola che viene poi reimportata per il consumo cittadino.

Ma in Italia il sostegno economico pubblico va agli inceneritori incentivando, così, le strategie degli imprenditori privati....
Proprio perché l'incenerimento non risolve il problema ma continuerà a riprodurlo, stando il business nella quantità bruciata, l'amara conclusione è che è facile risolvere la crisi dei rifiuti, quello che è difficile (per tutti) è risolvere la crisi della corruzione.

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