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Gli appetiti dei costruttori del lombardo-veneto verso gli stanziamenti da destinare ai "sudici"

Laura Marchetti, gli impegni del Ministero dell'Ambiente

Dalle campagne di educazione ambientale rivolte ai consumatori agli incentivi per la raccolta differenziata, dall'approvazione delle Linee Guida per una nuova politica di prodotto finalizzata alla creazione di un "mercato verde" al il sostegno scientifico alla installazione di impianti di compostaggio
24 gennaio 2008
Laura Marchetti
Fonte: Liberazione

- Un'iniziativa di legge per la modifica a monte delle produzioni (a cominciare dalla riduzione degli imballaggi), campagne di educazione ambientale rivolte ai consumatori, incentivi per la raccolta differenziata, l'approvazione delle Linee Guida per una nuova politica di prodotto finalizzata alla creazione di un "mercato verde", il sostegno scientifico alla installazione di impianti di compostaggio - possibilmente a controllo pubblico - e a impianti per il trattamento biomeccanico del residuo: a questo stiamo lavorando al ministero dell'Ambiente per la prospettiva di medio periodo.

Nell'immediato invece: una trattativa con le Regioni in nome della solidarietà nazionale già richiamata da Prodi, cercando con i tecnici dell'Apat di individuare siti lontani dagli abitati, non invisi ai cittadini, senza vincoli paesaggistici e possibilmente del demanio (per impedire ai privati di lucrare), assieme all'impegno a mettere risorse finanziarie per un piano di bonifica di ampio respiro sui milioni di rifiuti tossici nascosti nelle discariche, clandestine e non.

Azioni concrete, che il disastro incombente ci chiede, e che però non ci possono far rinunciare a continuare un'analisi per capire dove è avvenuto il guasto e come spezzare il circuito negativo. E il guasto per me è nella struttura coloniale del capitalismo nazionale, dalla sua formazione ai suoi più recenti meccanismi di riproduzione. Lo diceva già il grande meridionalista Gaetano Salvemini quando, in polemica con il "ministro della malavita" (il piemontese Giolitti), sosteneva che il problema maggiore d'Italia, a più di quarant'anni dall'unità, consisteva nella sempre più netta divisione netta fra "nordici" e "sudici"; sudici, i meridionali, ma non dal punto di vista antropologico, come pure potrebbe essere secondo quanto sostiene M. Ilardi nel bell'articolo su Liberazione del 10 gennaio (sudici per "napoletanità", un misto di rassegnazione, familismo amorale, senso dell'irredimibilità), ma dal punto di vista politico; sudici perché insudiciati da un sistema politico ed economico che, se mostrava nel Sud i suoi effetti più deleteri (trasformismo, abusivismo, illegalità istituzionalizzata), aveva al Centro e al Nord le sue banche, le sue imprese, i suoi comitati d'affari (quei gruppi legati alla speculazione edilizia di Firenze capitale, alle nascenti reti ferroviarie, agli scandali della Banca romana).

Un sistema originato da una Unità nazionale che, a prescindere dalla retorica risorgimentale, fu fatta con la forza e dall'alto, inviando contro contadini e ribelli ( i'briganti') un esercito più forte di quello mandato in Crimea che ha causato la cosiddetta "questione meridionale", tutt'ora in piedi, la cui gravità perdurante chiede oggi al governo e in genere a tutto il centrosinistra, non solo di smaltire bene e subito l'immondizia, ma di "affrontare una riflessione radicale sulla funzione di governo nel Sud Italia", nella consapevolezza , come ha scritto F. Forgione sull' Unità che «non basta la sostituzione delle classi dirigenti se restano immutate le dinamiche di potere».

Queste dinamiche di potere - nella struttura le stesse da più di centocinquant'anni - si sono tinte di verde tanto che si può dire che la questione meridionale oggi è per eccellenza la questione ambientale. Non solo perché sull'ambiente e sulla società meridionale si sono scaricate negli ultimi decenni le scorie dell'economia illegale (nelle cave e nelle fosse della Campania e della Calabria e della Puglia si accumulano i rifiuti tossici di cui si è liberato a basso costo per decenni tutto il sistema industriale del Paese), ma perché il lucro sul cemento ieri e oggi, il lucro sui rifiuti oggi, e il lucro sull'energia oggi e domani, si affermano, magari sotto l'ossimoro dello sviluppo sostenibile, come nuove opportunità economiche, come un business non solo legale ma addirittura virtuoso.

Le sue modalità strutturali però sono quelle di sempre: grandi imprese del Nord che vincono le gare d'appalto al Sud (come la Fibe del gruppo Impregilo) o come i gruppi economici legati a "Nuova Energia" di De Benedetti (centrali a turbogas) o alla "Cogeam" di Emma Marcegaglia (inceneritori, eolico) che si saldano con finanziarie meridionali fantasma, società "mordi e fuggi" e, imprese fasulle: uno "scambio" fra funzionari e politici, spesso legati alla malavita organizzata, o comunque disponibili a svendere la cosa pubblica.

Un impasto legale, protetto e amplificato dalla logica commissariale (che fino a poco tempo imperava, oltre che in Campania e in Calabria, anche nella Puglia di Fitto). Lo ha denunciato a chiare lettere la Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti nella sua relazione approvata il 19 novembre 2007.

Nello spirito di questa relazione, appare perciò quanto meno bizzarra la scelta del supercommissario, non solo per i noti strascichi simbolici (la persona individuata non ci permetterà più di guardare in faccia la mamma di Carlo Giuliani), e non solo per la probabile inefficacia dal punto di vista ambientale, che richiede invece, come ci hanno ricordato i compagni del Forum ambientalista, soluzioni partecipate e dal basso (penso a Cacciari, che assessore a Venezia, andava lui a spiegare l'importanza della raccolta differenziata, casa per casa). Ma perché così viene meno l'impegno parlamentare a mettere fine a quello "stato di eccezione" che costituisce il male profondo della società meridionale (il suo porsi come Antistato, come resistenza allo Stato), nonché per la preoccupazione espressa in conclusione dalla Commissione stessa di «impedire che il flusso di ulteriori finanziamenti, soprattutto di provenienza comunitaria, non venga distolto dal vincolo di destinazione o, peggio, venga esposto all'inquinamento criminale».

Proprio questi rischi ci dovrebbero allora far chiedere, oltre alla fine di ogni commissariamento, anche la fine di tutto il sistema degli interventi straordinari nel Mezzogiorno. Dopo gli anni '80, una marea di soldi pubblici amministrati dai commissari, erogati dal governo sono arrivati nelle regioni meridionali, facendo più o meno la stessa fine di quelli per il terremoto.

E così anche negli anni '90 i soldi europei stanziati: una marea di soldi che non sembrano aver fatto bene né all'economia né all'ambiente né tanto meno alla democrazia del Sud. Ha ragione allora forse il ministro Bersani quando sostiene, su Repubblica del 16 gennaio, che i soldi fanno male al Sud, che i cinquanta miliardi di fondi straordinari, per metà europei, in sei anni, hanno creato più delinquenza che sviluppo, che bisogna finirla con la legge 488 che eroga finanziamenti a sostegno di false imprese.

Ha ragione Bersani a patto che si veda l'altra faccia della medaglia. Da quando, nel 1993 è stato soppresso l'intervento straordinario e sono state dimesse le imprese a partecipazione statale, le due maggiori banche meridionali - il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia - sono state ridimensionate e, passando di mano in mano, sono state feudalizzate dalle banche del Nord. Così alcune imprese meridionali - quelle sopravvissute alla delocalizzazione - sono diventate scalpo di alcuni spregiudicati gruppi finanziari e imprenditoriali di Milano e di Torino.

Nell'ultima legge finanziaria infatti scompaiono gli stanziamenti da destinare al Sud, ma sulle Infrastrutture previste da Di Pietro nel Mezzogiorno si palesano già appetiti di costruttori del lombardo-veneto.

*Sottosegretario all'Ambiente

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