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Il rame, nuova frontiera delle ecomafie

Sei arresti a Napoli, tre aziende per il trattamento dei rifiuti sequestrate. Dalla spazzatura estraevano l'«oro rosso». Sfilza di no al piano De Gennaro
24 gennaio 2008
Francesca Pilla

- Lontano dalle città, nelle campagne napoletane per anni hanno portato rifiuti tossici. Li bruciavano illegalmente negli impianti per estrarne rame e rivenderlo a peso d'oro, poi sversavano le scorie nei terreni agricoli. Lì dove si coltivano pomodori, verza, lattuga, broccoli e friarielli destinati a mercati e supermercati di mezza Italia; verdura e frutta che ha respirato e assorbito diossina e non solo. A riprova che il caso-Campania è una questione «italiana» arriva quest'ultima notizia dal mondo sotterraneo dei rifiuti.

Ieri con un'operazione del Noe sono state arrestate sei persone nell'ambito dell'inchiesta Nerone, coordinata dai pm Cristina Ribera e Aldo De Chiara. Si tratta di due nuclei familiari, che in maniera imprenditoriale avevano fatto la loro fortuna sulla pelle degli «altri». Ora sono accusati di associazione per delinquere, traffico organizzato di rifiuti e ricettazione. Anche perché compravano e rivendevano rame sfruttando i furti degli stranieri nel resto del paese: un chilo di prima scelta arriva a 8 euro. Sequestrate dunque tre aziende per la gestione e il trattamento dei rifiuti a Napoli e Afragola la cui titolare è Rosaria Rosano e una ditta a Casoria di proprietà di Anna Maria Graziano. Tra gli arrestati, Giovanni Miele detto «Nerone», (da qui il nome dell'inchiesta) specializzato in questa procedura che consentiva di rivendere tonnellate di rame a diverse società. Una era addirittura connivente. «Siamo davanti alla nuova frontiera dell'ecomafia, i cacciatori dell'oro rosso (il rame) e gli imprenditori disonesti con pochi rischi e tanto guadagno». Così Michele Buonomo, presidente regionale di Legambiente, ha commentato gli arresti. Ma è la quantità di veleni raccolti nei terreni campani a sconcertare. Secondo i dati dell'associazione negli ultimi 5 anni ci sono state 30 operazioni che hanno portato a 241 arresti, 966 persone denunciate e 247 aziende coinvolte. Quasi il 35% dei traffici di rifiuti accertati in Italia si concentra in Campania.

E mentre la magistratura lavora a tutto campo, la regione è percorsa da una catena di proteste contro il piano di De Gennaro. Il muro dei no è lungo: a Marigliano, Montesarchio, Ariano Irpino, Gianturco. Qui gli abitanti insieme agli attivisti di Officina '99 continuano il presidio dell'ex Manifattura Tabacchi. Propongono a De Gennaro di creare nel sito un'isola ecologica per il riciclaggio al posto dello stoccaggio provvisorio. «Qui viene messo in gioco il futuro dei nostri figli - dicono - non è possibile che si faccia una discarica in mezzo alle case. E' una decisione che non possiamo accettare».

«Sentinelle» e muro umano davanti alla discarica di Tre Ponti a Montesarchio, in provincia di Benevento, quella per cui è stato rinviato a giudizio l'ex-commissario Catenacci. «Lo Stato - ha detto il sindaco, Antonio Izzo - non può venir meno ad un impegno preso quando ci venne imposto di smaltire, l'altro anno, i rifiuti della Campania». Sabato una ventina di sindaci e le rispettive popolazione si muoveranno in corteo dal centro cittadino fino a Tre Ponti. Anche ad Ariano Irpino «resistono» e fanno «scudo» alla discarica di Difesa Grande. Il sindaco non vuole sentire ragioni nonostante sia stato designato il sito definitivo nell'avellinese a Savignano Irpino.

Da parte sua il supercommissario all'apparenza non sembra intimorito dal coro dei no. Ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano di Napoli Il mattino affermando che andrà avanti decidendo e senza lasciarsi intimidire. Dopo quest'ultimo successo ha assicurato che andrà a fare il contadino in Maremma, dove ha già un trattore. E se non ci dovesse riuscire tornerà a fare il poliziotto?

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