IL Calendario dell'Università di Basilicata
Anche le Università oggi realizzano i propri, quale veicolo di comunicazione e di immagine. L’Università della Basilicata ha creato anche il suo . E’ nato il primo calendario in join venture con l’Eni per mostrare la “best practice” e per far conoscere le biodiversità del parco della Val d’Agri a garanzia dell’integrità di questo territorio diventato nella realtà una gruviera di pozzi, ferito dalle trivelle e dagli oleodotti, ammorbato dagli scarichi inquinanti dei centri olii, inquinato dagli idrocarburi policiclici aromatici che, a dispetto del termine, puzzano e sono cancerogeni.
Un calendario che mostra panorami mozzafiato e specie protette, peccato però solo su carta patinata. E con tanto di “bollino di qualità” attribuito dall’Università Lucana alla società di idrocarburi che con le sue estrazioni petrolifere minaccia l’esistenza del parco e mette a rischio la salute dei residenti che non conoscono i dati sui monitoraggi ambientali.
Ci chiediamo, qual è il motivo che ha spinto l’Università a sponsorizzare questo calendario (efficace strumento di comunicazione neutra) della potente multinazionale del petrolio? Forse per ingraziare l’ENI per aver sborsato i quattrini delle royalties per le nuove facoltà accademiche che si accingerebbe ad aprire in Basilicata, dopo aver dato forse forfait sulla Fondazione Mattei?
C’era davvero bisogno di ricorrere a questa ennesima caduta di stile provincialista risparmiando così il tema della tutela della biodiversità per partner più credibili dell’ENI(che come obbiettivo ha le azioni in borsa e non i parchi o la natura)? A pensarci meglio, certe posizioni dell’Università di Basilicata in tema ambientale non sono, però, nuove. Non abbiamo dimenticato il protocollo sottoscritto da rettorati precedenti a quello attuale ,nel 2005 allorquando L’Università stipulò un accordo con un fisico nucleare italo canadese, il prof. Panarella, per realizzare a Ferrandina un centro nucleare per sperimentare la fusione nucleare calda su basi scientifiche molto discutibili (il progetto è sparito, infatti, in tre mesi).
Era il nuovo cavallo di troia (dopo le vicende di Scanzano) per inserire un centro nucleare nei calanchi, già sito indicato da studi Enea per la realizzazione del deposito di scorie nucleari e dove negli anni ottanta i cittadini di Stigliano e paesi limitrofi manifestarono per difenderlo da quella scelta scellerata.
Perché inoltre l’Università Lucana non ha preso in considerazione ad esempio l’opportunità di trasformare il centro nucleare della Trisaia di Rotondella in facoltà universitaria sulle rinnovabili (dopo il decommissioning)?Ossia il momento buono per utilizzare i soldi per la ricerca e delle istituzioni (evitando i soliti corsi di formazione) in attività utili al territorio nella filiera produttiva dell’energia rinnovabile(dove non esistono tecnici specializzati e dove la Basilicata può partire al pari degli altri) e dare finalmente un tocco di valenza per il territorio al centro ricerche della Trisaia di Rotondella.
Siamo comunque convinti che se l’università ha veramente a cuore la tutela del territorio e il suo sviluppo può sicuramente dare un contributo significativo per evitarne la distruzione e suggerimenti utili per la sua valorizzazione.
Invitiamo pertanto l’istituzione accademica e il suo rettore prof. Tamburro ad interessarsi della biodiversità del futuro Parco dei Calanchi che i cittadini e le comunità chiedono da tempo a gran voce senza risultato. Occorre inoltre studiare tutte le micro e macroeconomie collegate al nuovo
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