In Puglia si studia l’addio al petrolio
La nostra regione sta diventando un vero laboratorio delle energie alternative, per salvare un ambiente di pregio, cancellare se possibile le tracce della vecchia industria pesante, prendere parte attiva alla "exit strategy" italiana dal petrolio e agganciare, politica permettendo, il nuovo business dell'economia sostenibile. «La Puglia può diventare un'Arabia Saudita delle energie rinnovabili», sostiene l'economista americano Jereniy Rifkin, intervenuto all'inaugurazione dell’Università dell'Idrogeno nei pressi di Bari.
In tutto questo, la generosità di madre natura ha una grande parte: senza il sole, il vento e la fertile terra di Puglia, non si andrebbe lontano. Ma un ruolo non trascurabile l'hanno anche altre risorse, di natura stavolta "immateriale", coltivate can programmi scientifici di osservazione della Terra che, già molti anni fa, hanno permesso ai ricercatori pugliesi di vedere attraverso i potenti occhi dei satelliti i primi segni del degrado e dell'inquinamento. Segni che oggi vengono raccolti dal grande centro di Geodesia spaziale di Matera, grazie ai radar della missione Cosmo SkyMed, con cui giorno e notte si tiene sotto sorveglianza ogni metroquadro del pianeta.
Sul nostro futuro lavorano invece i supercomputer dei Centro euro-mediterraneo per il cambiamento climatico (Cmcc) di Lecce: qui, per fare previsioni sul clima, si eseguono oggi mille miliardi di operazioni al secondo ma entro due anni questa somma aumenterà di trenta volte. Solare, eolico, biogas, ma anche idrogeno e biocombustibili attirano in Puglia industrie come Italgest (il cui amministratore delegato Paride De Masi, pugliese, guida anche il Comitato nazionale per le fonti rinnovabili di Confindustria), Tozzi, Vestas, Siemens eccetera, oggi impegnate in progetti come la megacentrale fotovoltaica di Brindisi o il parco eolico di Lecce. Proprio il settore del fotovoltaico permette di avere un'idea della rincorsa presa dalla ricerca e dal business ambientale nel mondo così come in Puglia.
Il pannello solare, inventato nel 1931, ha dovuto aspettare un quarto di secolo per passare da un misero 1% di efficienza al 12% raggiunto dai laboratori americani Bell sostituendo il selenio col silicio. Oggi nuove conoscenze e risultati arrivano a getto continuo e si traducono rapidamente, soprattutto in Germania e Giappone, in nuovi prodotti industriali: ma il fotovoltaico, senza gli incentivi pubblici, non è ancora conveniente. Troppo alti i prezzi della materia prima e della lavorazione, mentre resta bassa l’efficienza: a un brillante 36% si arriva solo con i materiali semiconduttori, così costosi che si usano solo nello spazio.
La ricerca continua: non tarderà ad arrivare sul mercato, ad esempio, un pannello solare di nuova generazione, frutto dei rivoluzionari sistemi di ultravuoto messia a punto dai fisici del Cern, mentre un consorzio di otto università britanniche sta investendo milioni di curo in nanotecnologie per realizzare una cella fotovoltaica ultrasottile.
Anche in Italia si lavora sul nuovo fotovoltaico: anzi, al National Nanotech Lab (Nnl-Cnr) di Lecce sono proprio sulla frontiera più avanzata. Si tratta di celle fotovoltaiche basate su materiali organici: certo, è ancora roba da laboratorio, ma findustria (Tozzi) è già pronta a lavorare con il gruppo di fisici, ingegneri, chimici e biologi guidati da Roberto Cingolani e Giuseppe Gigli. «Diversi sono gli stadi di maturazione di queste tecnologie, che comprendono celle organiche, ibride (organiche-inorganiche) e dye sensitized (dove all'assorbimento della luce concorre una molecola di pigmento, ndr) - spiega Gigli -. Queste ultime sono economiche, poco inquinanti, semplici da realizzare, sottili, flessibili e durevoli e in grado già oggi di offrire gradi di efficienza del 10-12 per cento».
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