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Un lavoro che non si rifiuta

Missione in discarica. Mentre a Roma è stata aperta un'inchiesta della magistratura sulla vicenda, a Korogocho la gente che lavora in mezzo ai rifiuti teme di perdere anche quel poco che ha. Le minacce a padre Moschetti, missionario comboniano a Korogocho
14 febbraio 2008
Daniele Moschetti
Fonte: Nigrizia - dicembre 2007

- Padre Daniele Moschetti, comboniano che lavora a Korogocho, torna a parlare della discarica di Dandora e dei progetti della sua bonifica. Progetti che avevano destato dubbi e che vedono tra i protagonisti anche società italiane, oltre che il ministero dell’ambiente. Nel numero scorso di Nigrizia, padre Daniele aveva raccontato di quell’affaire, ma anche dell’impegno della sua parrocchia per la difesa dei diritti e dei bisogni degli ultimi. Perché, come ricorda oggi, «non possiamo evangelizzare senza parlare di giustizia sociale, verità e salvaguardia del Creato. Tutto è dono di Dio e, proprio per questo, bisogna battersi perché sia salvaguardato il bene comune, che è di tutti. Soprattutto per la gente del sud del mondo». In queste righe racconta gli ultimi sviluppi assunti dalla vicenda.

Con l’apertura dell’inchiesta romana sui fatti legati alla discarica di Dandora, credo che le cose abbiano preso la strada giusta e spero che si continui ad andare a fondo.

Ci sono, comunque, alcune novità da segnalare.

Io, John Ochieng e Japheth Oluoch, due persone della mia comunità di St John, Korogocho, abbiamo incontrato alcuni rappresentanti dell’Unep, il Programma ambientale delle Nazioni Unite. Con loro abbiamo parlato a lungo delle conseguenze di uno spostamento della discarica e sul conseguente impatto sociale che avrebbe a Korogocho e a Dandora. Abbiamo convenuto sulla necessità di anticipare ogni mossa, facendo un piano d’azione, comprensivo di ogni impatto negativo sulla popolazione locale da un punto di vista economico e sociale, e anche di eventuali possibili violenze che potrebbero insorgere. Abbiamo concordato un lavoro di gruppo, cercando di coinvolgere la gente che lavora dentro la discarica e, soprattutto, le organizzazioni locali che ancora oggi tentano di dipingerci come nemici degli scavengers (raccoglitori di rifiuti nella discarica), perché avremmo business personali da tutelare. Queste persone danno informazioni di parte, presentando solo in modo negativo il trasferimento della discarica e mettendo in cattiva luce l’iniziativa dei leader ecclesiali e della gente. Il nostro progetto è chiaro: vogliamo che chi lavora in discarica venga riassorbito, direttamente o indirettamente, nel nuovo progetto.

È una lotta per il pezzo di pane, ce ne rendiamo conto. Ma proprio per questo, si tratta di una questione molto delicata.

Padre John Webootsa, comboniano che vive qui con noi da un anno, mi ha riferito che, mentre partecipava a un incontro organizzato da un gruppo di giovani dello slum, qualcuno gli ha detto: «Di’ a padre Daniele che ho a casa 5 bullets (pallottole). Se la discarica sarà spostata, una di queste è per lui». Non mi spaventano queste parole. Anche perché è da tempo che riceviamo minacce per questa campagna.

Resto, invece, convinto che siamo sulla strada giusta per vedere realizzato qualcosa di importante. L’Unep, che in conferenza stampa aveva promesso un aiuto di 200mila dollari, ha in agenda un incontro con l’amministrazione di Nairobi per vedere come usare questi soldi per la comunità locale.

Il ministro dell’ambiente olandese ci ha chiesto di incontrarlo per spiegargli la situazione. Il governo olandese aveva sponsorizzato, tramite l’Unep, lo studio sui danni alla salute causati dalla discarica di Dandora/Korogocho. Non so che frutti porterà questo incontro. So soltanto che ci sono molti – fra governi e società nazionali e internazionali – che hanno messo gli occhi su questa discarica e, naturalmente, sul business della raccolta dei rifiuti urbani.

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