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La gente chiede che il petrolio resti dov'è, ovvero sottoterra

Il movimento No Oil

Vorrei raccontare una storia bizzarra, davvero anti-progressista. Ieri mattina, diverse migliaia di persone hanno protestato davanti al palazzo della regione Basilicata, a Potenza. Nella folla, si vedevano le insegne e gli striscioni di comitati di cittadini, di associazioni di ogni tipo, specie ambientaliste, della Sinistra Arcobaleno e anche della Fiom e dei Cobas.
21 febbraio 2008
Pierluigi Sullo
Fonte: Il Manifesto

- Quella gente chiede che il petrolio resti dov'è, ovvero sottoterra, che cioè non si scavino altri pozzi oltre a quelli già in funzione da diversi anni. Ma come: l'«oro nero», lo sviluppo, dove li mettiamo? Il nostro amico Gianni Palumbo, militante della Lipu, Lega protezione uccelli, e di Rifondazione comunista (in quest'ordine, se lo conosco), spiega la bizzarra manifestazione in questo modo: «L'aumento del prodotto interno lordo della regione, in questi oltre dodici anni di estrazioni petrolifere in Val d'Agri, ha portato la Basilicata fuori dalle Regioni Obiettivo 1 (dell'Unione europea, ndr): con quale risultato? Che oltre tremila giovani all'anno abbandonano il territorio lucano, secondo i dati dello Svimez, specie dalle aree interne, per cercare lavoro altrove.

Segno inequivocabile che fino a ora il petrolio è stato un vero affare solo per le multinazionali delle estrazioni del greggio». Quanto alle nuove trivellazioni, racconta Gianni, «il ministero per lo sviluppo, per via della mancata presentazione della Valutazione di impatto ambientale, ha di fatto bloccato la concessione relativa a Monte Grosso2». Così, quel che si è auto-definito «movimento No Oil» incamera una prima vittoria. E ora, aggiungono, la regione «farebbe bene a individuare un nuovo sistema per la partecipazione, in modo da tener conto delle istanze dei cittadini che non hanno più fiducia nel meccanismo delle royalties (quello con cui le multinazionali del petrolio concedono una percentuale di quel che guadagnano, ndr): un nuovo piano energetico regionale dovrebbe puntare a un auto-sostentamento energetico basato sulle energie alternative».

Bene, questa storia ci riempie di soddisfazione, perché l'anno scorso Carta fece una copertina, sull'argomento, intitolata «Lucania saudita»: per dire appunto che si raccontavano meraviglie della futura ricchezza dovuta ai nuovi pozzi, che minacciano di traforare tutta la regione, omettendo di fare un bilancio dei pozzi che già esistono. E è un bilancio pessimo, da ogni punto di vista. Il dito era sulla piaga giusta, visto che - dopo l'esplosione del prezzo del petrolio - le richieste di nuove trivellazioni hanno proliferato in tutta Italia, provocando la nascita di movimenti come i No Triv di Noto, in Sicilia. E d'altra parte esiste perfino un governo, quello dell'Ecuador, che chiede alla comunità mondiale di finanziare (con il 50 per cento di quel che ricaverebbe dai pozzi) la scelta di non estrarre il petrolio dai giacimenti sotto l'Amazzonia, in modo da salvare quel patrimonio dell'umanità che è la foresta pluviale.

Già vari governi hanno detto sì, e pare che anche quello italiano, prima di crollare prematuramente, stesse seriamente pensando di partecipare. Ma alla regione Basilicata, di centrosinistra, non hanno evidentemente comunicato che un uovo sporco oggi è molto peggio di una gallina vispa domani, che bruciare petrolio è una attività dannosa e in via di rapido esaurimento, e che il futuro è altrove. Bisognerebbe anche avvertire la giunta lucana che regalare l'acqua del Vulture alla Coca Cola (che la spaccia sotto il nome di Lilia) corrisponde alla stessa insensatezza.

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