«All'acciaio serve il nucleare»
MILANO - «Le politiche energetiche degli ultimi quindici anni sono state semplicemente vergognose. Imprese e consumatori sono stati lasciati soli a fare i conti con la crescita esponenziale delle bollette». Mai come oggi i toni di Giuseppe Pasini, il presidente degli acciaieri italiani, sono tanto duri e polemici. E nell'imminenza della campagna elettorale chiede che il tema dell'energia sia inserito tra le priorità programmatiche degli schieramenti. «Silvio Berlusconi e Walter Veltroni devono dire chiaramente cosa intendono fare. In primo luogo dovranno essere chiari sul nucleare, una scelta che ormai si fa imprescindibile per mantenere a livelli accettabili la competitività del Paese».
Secondo Pasini per colmare il gap con l'Europa nei prossimi 15 anni l'Italia dovrà costruire almeno quattro o cinque centrali. Questo al fine di sganciare il Paese dalla dipendenza petrolifera e di poter finalmente gestire un dignitoso mix energetico che possa rispondere alla richieste di taglio delle emissioni di CO2 che arrivano da Bruxelles.
Con una precisazione. «Non pretendiamo che sia solo lo Stato a farsi carico degli ingenti costi necessari alla svolta nucleare. Pensiamo – continua il presidente di Federacciai – che si possa prendere esempio dal modello finlandese, dove produttori e grandi consumatori di energia hanno formato dei consorzi che, con l'aiuto di strumenti come il project financing, sono diventati essi stessi copromotori finanziari dei progetti». Con questo Federacciai non intende mettersi di traverso sul tema dello sviluppo delle fonti rinnovabili o tanto meno sul discorso sempre attuale del risparmio energetico.
La grande sofferenza di cui parla Pasini ha il suo epicentro nell'elevato costo dell'energia elettrica (in Italia il 30% più alto rispetto alla media degli altri Paesi della Ue). Un problema che appare ancora più rilevante se si considera che nel settore siderurgico l'incidenza del costo dell'energia è pari al 40%del costo di trasformazione, rispetto al 15% del costo della manodopera. Questo nonostante gli investimenti compiuti nell'innovazione abbiano portato, rispetto a 10 anni fa, le imprese siderurgiche a diminuire il consumo di energia, a migliorare le performance produttive e a mantenere la competitività rispetto ai concorrenti stranieri.
C'è poi il tema della lotta all'effetto serra che rischia di diventare un pesante handicap perchè tanti grandi Paesi nostri concorrenti (Stati Uniti e Cina su tutti) non hanno aderito al Protocollo di Kyoto. Dunque la diminuzione del 20% delle emissioni entro il 2020 fissata dall'Unione europea può diventare una zavorra insormontabile in termini di costi per larghi strati del manifatturiero italiano. «Siamo pienamente d'accordo nel dare priorità a un serio ed equanime impegno teso a contrastare i cambiamenti climatici – spiega il direttore generale di Federacciai Salvatore Salerno – tuttavia l'ulteriore sforzo che ci verrà richiesto rischia concretamente di penalizzare troppo le nostre imprese che saranno costrette a un ridimensionamento radicale».
Tutto questo in un momento che per la siderurgia italiana è particolarmente delicato. Da un lato il 2007 ha visto la tendenza di un calo dell'incremento della produzione (+0,3%) confermando però gli importanti livelli raggiunti degli ultimi quattro anni (+18%). Dall'altro nei primi due mesi del 2008 l'impennata dei prezzi dei prodotti finiti ha già raggiunto il 20-25%. Un surriscaldamento dei listini causato dalla rincorsa globale alle materie. Per non parlare poi del minerale ferroso. Il gruppo Riva ha recentemente chiuso i contratti d'acquisto con un aumento del 65% rispetto allo scorso anno. Se a questo si aggiungono le tensioni inflattive, la debolezza dei mercati finanziari e la probabile recessione americana «diventa difficile – conclude il presidente di Federacciai – fare previsioni sull'andamento del comparto anche se nel medio periodo la costante crescita della domanda nei Paesi emergenti dovrebbe essere rassicurante».
Acciaio «Restano i nodi»
INDUSTRIA. Dopo un buon 2007 la prima metà del 2008 sarà stabile
Centrodestra o centrosinistra: indipendentemente dallo schieramento, sulla scrivania del prossimo Governo già ora si trova un appello industriale. Si leva dalla siderurgia che, pur forte di un ricco quadriennio, non ha ancora superato barriere quali il caro-materie prime, il mix energetico italiano pesantemente sbilanciato sull’oro nero, l’appeal dei prodotti asiatici.
A scendere in campo è Federacciai, l’associazione presieduta da Giuseppe Pasini (al vertice anche del gruppo Feralpi), che ieri, ha presentato i «numeri» del 2007 del comparto, forti per produzione e consumo, deboli per onerosità nei costi di trasformazione. La definizione «annus mirabilis» deve essere estesa all’intero quadriennio, nel quale il quantitativo di acciaio è salito fino alla soglia di 31,7 milioni di tonnellate dell’anno scorso (che ha confermato l’Italia come secondo produttore nell’Ue dopo la Germania), lo 0,3% in più del 2006. E per il 2008, come emerso ieri, nel primo semestre la produzione rimarrà stabile e i prezzi «difficilmente diminuiranno per effetto dell’aumento delle materie prime».
Bene anche i consumi con un exploit che ha proiettato l'Italia in vetta al mondo con 613 km/pro-capite, il doppio della media europea e record assoluto che solo Taiwan e Corea hanno raggiunto. Eppure, la siderurgia italiana dovrà superare indenne un bivio pericoloso: energia e taglio alle quote Co2. «Il Paese - ha detto Pasini - paga l'assenza di una politica energetica. Dobbiamo iniziare a ripensare concretamente al nucleare, in senso civico e strategico». Un fattore che tocca in profondità la siderurgia, i cui costi di trasformazione vedono proprio l’energia in pole con un peso del 40%. «È necessaria - ha sottolineato Pasini - una comunione d’intenti tra istituzioni, imprenditori e comunità. Per questo chiediamo da subito, al prossimo esecutivo, alcuni interventi urgenti, come la realizzazione di almeno 5 terminali di rigassificazione, il potenziamento delle infrastrutture di trasporto dell’energia elettrica e del gas dall’estero, la realizzazione di nuove centrali a ciclo combinato e l'applicazione di tariffe a favore dei settori energivori».
Sul fronte «Kyoto» è intervenuto il direttore di Federacciai, Salvatore Salerno: «se la proposta Ue, che impone un altro taglio delle emissioni del 21% nel periodo 2012-2020, sarà approvata, l'ulteriore sforzo che ci verrà richiesto rischia concretamente di penalizzaci troppo, costringendoci o a produrre meno acciaio, oppure a delocalizzare».
Marco Taesi (Bresciaoggi)
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