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«Il nostro Stato ha resistito anche alla forza del petrolio»

lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua in un'intervista al trimestrale Oil lo scrittore sostiene che avere l'oro nero può essere una debolezza
25 aprile 2008
Monica Ricci Sargentini
Fonte: Corriere della Sera

- MILANO — «I Paesi arabi hanno il petrolio, gli ebrei non ce l'hanno. Noi dobbiamo usare il cervello e tanti altri mezzi. Ma non possiamo usare il petrolio». È una constatazione non amara quella di Abraham Yehoshua che, in un'intervista esclusiva alla neonata rivista dell'Eni Oil, vede nella mancanza di una fonte di energia primaria quasi una risorsa per il suo Paese. «Non avere il petrolio per Israele — scrive — ha costituito per molti versi una fortuna. Ci ha spinti a cercare altre fonti di energia, ci ha stimolati verso la tecnologia. Il petrolio rende più pigri».

Lo scrittore israeliano, amatissimo in patria e all'estero, sarà a Torino tra pochi giorni, l'8 maggio, per inaugurare la Fiera internazionale del Libro che avrà Israele come ospite d'onore.

Nell'intervista su Oil si lancia in un'acuta analisi del mito dell'oro nero. «È un elemento meraviglioso — dice a Simonetta Della Seta, giornalista specializzata in Storia del Medio Oriente e direttrice dell'Istituto Italiano di Cultura di Tel Aviv —. È un unico prodotto, utilizzato in moltissimi modi, senza scartarne mai alcuna parte: una materia grezza che viene interamente sfruttata. Il petrolio è utilissimo perché genera energia e progresso. Non è giusto etichettarlo solo per il legame con l'inquinamento ». Chi ha impianti petroliferi può considerarsi fortunato, è come avere una marcia in più. Però c'è un paradosso.

Oggi oltre il 62% del greggio è in mano araba e musulmana. Eppure, fa notare lo scrittore, quest'immensa ricchezza non è bastata ad annientare Israele né a costruire uno Stato palestinese. E oggi gli impianti petroliferi sono, militarmente parlando, il tallone d'Achille dei Paesi arabi perché considerati facili obbiettivi. «Noi — spiega Yehoshua — abbiamo vinto contro la forza del petrolio, se non altro da un punto di vista politico. I Paesi arabi non sono riusciti neppure a far funzionare un boicottaggio internazionale nei nostri confronti. Con tutta l'importanza e la necessità del petrolio, l'esistenza di Israele ha dimostrato di essere ancora più cruciale e il suo riconoscimento imprescindibile».

In verità gli arabi si sono guardati bene dal «creare una sorta di Singapore palestinese, cosa che avrebbe spinto presto gli israeliani a ritirarsi anche dalla Cisgiordania». Nonostante le loro possibilità economiche i Paesi «fratelli » hanno fatto in modo che i palestinesi non collassassero «ma allo stesso tempo — constata amaramente lo scrittore — hanno evitato di sollevarli veramente dalla polvere, di renderli persone più felici».

Oil uscirà per la prima volta nel mese di maggio con un obiettivo ambizioso: creare una sede culturale di analisi e dibattito, una porta aperta sul mondo dell'energia, della sostenibilità ambientale e dello sviluppo. La rivista, un trimestrale, ha un comitato editoriale di tutto rispetto. Coordinati da Lucia Annunziata ci sono, tra gli altri, l'editorialista del Corriere Sergio Romano, il direttore di Foreign Policy Moises Naim e il premio Nobel Harold W. Kroto.

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