Il Tar e il caso Greenpeace
Il 30 novembre 2007 avevano effettuato un’azione di protesta nella centrale a carbone dell’Enel a Brindisi: "per ricordare - scrivevano nel volantino che accompagnò l’iniziativa - che, a pochi giorni dall’apertura del vertice delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici a Bali, il carbone è il primo nemico del clima globale". Aprirono striscioni sia sul tetto che sul carbonile della centrale: che è il primo impianto per emissioni di gas serra in Italia, con 14,4 milioni di tonnellate di CO2 nel 2006. "Enel è la prima azienda "clima killer" in Italia - si leggeva ancora nel testo - con 51,6 Mton di CO2 nel 2006, il 23% circa del totale delle emissioni dell’industria regolamentate dalla Direttiva europea Emission Trading".
Il tutto, per l’appunto, non fu ritenuto di gradimento dalla questura locale, benché l’azione degli ecologisti non avesse interrotto l’attività della centrale né avesse causato danni economici diretti all’azienda. L’ordinanza di divieto di rientro a Brindisi fu emanata in virtù dell’interpretazione bizzarra di una legge, la 1423/56, che prevede l’applicazione di misure di prevenzione ante-delictum "nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità".
Il questore riconosceva, nel suo provvedimento, la natura "ecopacifista" di Greenpeace; e, tuttavia, riservava a quel gruppo di militanti con una misura altrimenti destinata a "delinquenti abituali": in particolare, a "coloro che, per il loro comportamento, debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che siano dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica". Mancavano i requisiti richiesti dalla norma: l’abitualità dei soggetti coinvolti nella commissione dei reati; l’offesa o il pericolo per l’integrità fisica o morale dei minorenni; l’offesa o il pericolo per la sanità, la sicurezza e la tranquillità pubblica, dal momento che non vi furono interruzioni nell’erogazione di energia elettrica ai cittadini.
Così, preventivamente, si voleva impedire ogni diritto alla protesta pacifica, alla contestazione, alla libera espressione del dissenso. Un po’ come si cerca , scrivemmo in questa rubrica settimane addietro, "di impedire a qualche ultrà troppo esuberante di sprangare la testolina di un suo rivale di tifo, allontanandolo dagli stadi per qualche mese; o come si tiene a bada un camorrista dal gestire il territorio campano, spedendolo a vivere a Ortisei". Insomma, ci siamo occupati della vicenda perché si prefigurava un’ingiustizia palese e grottesca; e perché, in punta di diritto, i provvedimenti ante delictum ci sembravano e ci sembrano discutibili rispetto al sistema delle libertà della persona che un ordinamento liberale deve riconoscere e promuovere.
Ora ci sono buone notizie. La decisione assunta dal questore di Brindisi è stata annullata dalla prima sezione del Tar di Lecce: perché è stata impugnata da Giuseppe Onufrio, direttore delle campagne di Greenpeace, nel ricorso contro il questore e il ministero dell’Interno. Nelle motivazioni della sentenza del Tar si legge che "l’attività dimostrativa è stata attuata a difesa di valori costituzionalmente protetti quali l’ambiente e la salute della popolazione" e che "la manifestazione trova apprezzabili e giustificati presupposti nella situazione di grave rischio dichiarata da tempo per il territorio di Brindisi".
I giudici del Tar scrivono, inoltre, che "anche se deve accreditarsi che la centrale di Cerano sia conforme alla legge nel rispetto dei limiti di emissione e nell’utilizzo della migliore tecnologia a bassa immissione in atmosfera di polveri sottili e sostanze inquinanti, resta la situazione a rischio ambientale cui partecipa la centrale stessa con l’utilizzazione del carbone, come resta quale fatto accertato la natura inquinante di vari elementi prodotti dalla sua combustione e dispersi in atmosfera.
Considerato, quindi, che l’azione di Greenpeace appare reazione alla violenza inquinante cui è sottoposto il contesto ambientale, tale da far recedere di significato eversivo modalità ed intrusioni attuate diversamente non ammissibili", proseguono i giudici , e visto che "nel contesto descritto appare del tutto inconfigurabile la valutazione di persona "socialmente pericolosa" (il riferimento, qui, è al ricorrente, Giuseppe Onufrio), il Tar di Lecce "sospende il provvedimento del Questore di Brindisi". C’è da ritenere, a questo punto, che un medesimo annullamento verrà per gli altri undici militanti allontanati dalla provincia.
Nel frattempo, in attesa della sentenza, gli attivisti di Greenpeace avevano ricevuto manifestazioni di solidarietà da più fronti. Alla mobilitazione online lanciata con il sito dei "Banditi del clima" (così si è voluta autodefinire quella ecodozzina di "facinorosi") hanno partecipato più di 500 persone, inviando la propria foto con il messaggio "Anche io bandito del clima"; e un gruppo di consiglieri comunali di Brindisi (dei più diversi partiti) ha presentato un ordine del giorno per proporre la cittadinanza onoraria ai 12 attivisti.
Morale: non si può sanzionare chi manifesta pacificamente, magari ai limiti della norma, se la sua azione non causa danni a terzi e se è volta a tutelare un bene comune come la salute della collettività; e, soprattutto, non si può impedire preventivamente che, dopo averlo fatto, possa tornare a farlo. Rimane spazio - questa è la buona notizia - per il dissenso motivato e legittimo, pacifico e democratico. E per una felice eterogenesi dei fini, quel questore che voleva sbarazzarsi di questi fastidiosi ambientalisti potrebbe aver conquistato loro la cittadinanza onoraria. Mica poco.
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