«Sul clima troveremo l'accordo»
È ottimista Josè Manuel Barroso. La battaglia dei vincoli sul clima si risolverà per il meglio. Si troverà «un nuovo compromesso». L'Italia approverà il pacchetto e tutto andrà a posto, azzarda il presidente della Commissione Ue all'inaugurazione della nuova sede dell'Università milanese Bocconi. Onore all'ottimismo della volontà, visti i fulmini che ancora ieri si sono scambiati i protagonisti del dibattito.
Non si fa scrupoli il ministro belga dell'Ambiente, Paul Magnette: «Capisco i Paesi come la Polonia, che produce elettricità per l'80% dal carbone e che subirebbe costi supplementari consistenti, ma non i Paesi come l'Italia, che saltano sulle resistenze altrui per bloccare l'approvazione del pacchetto» sotto la pressione di interessi privati.
Tesi che ieri mattina ha trovato spazio anche sulle colonne del Financial Times: l'Italia si sta guadagnando il ruolo della «cattiva» nella lotta al global warming proprio perché «con Stefania Prestigiacomo all'Ambiente ha un industriale come ministro e un Governo in sintonia più con la grande lobby che con la lotta al cambiamento climatico».
«Insinuazioni indegne del ruolo che ricopre e del Paese che rappresenta. Magnette non sa di cosa parla» replica con un comunicato stampa la Prestigiacomo. Che, ieri mattina, con il ministro delle Politiche comunitarie Andrea Ronchi, ha impegnato buona parte della riunione del Consiglio dei ministri per mettere a punto la posizione "collegiale" con cui il Governo giocherà le sue prossime carte a Bruxelles.
Disponibilità al confronto e all'accordo? «Piena, perché siamo tutt'altro che anti-ambientalisti » sostengono all'unisono i due ministri italiani.
Ma largo, per ora, alla guerra di cifre e di tesi.
«Nel rapporto puntuale e documentato che il Governo Italiano ha presentato alla Commissione Europea si mettono in evidenza ben 18 punti critici nelle valutazioni della commissione, sui quali non abbiamo avuto ancora risposta» afferma Prestigiacomo rimarcando che il pacchetto Ue 20-20-20 così com'è «costerà all'Italia il 40% in più rispetto agli altri paesi europei», con un extra-onere annuo tra i 15 e i 22 miliardi di euro, «così come risulta da uno studio commissionato dal ministero dell'Ambiente ad un istituto indipendente».
Nonostante le richieste italiane «solo dopo la pubblicazione di questi dati l'Unione Europea ha reso pubblica una stima dei costi, che di fatto si discosta pochissimo da quella che è stata la nostra valutazione ». Il nostro Paese ha perciò «chiesto un tavolo tecnico» per chiarire i costi, «perché pensiamo che su questo non si possa barare in alcun caso» insiste Prestigiacomo sottolineando ancora una volta la «spartizione iniqua a livello di Paesi Ue» con il rischio di «delocalizzare tutte le nostre industrie pesanti verso quei paesi dove ci sono norme ambientali diverse e il costo del lavoro è più basso».
In ogni caso «non abbiamo mai pensato di far saltare il tavolo. Dobbiamo semplicemente difendere le nostre imprese e i nostri lavoratori» conferma Ronchi, che fa appello anche all'opposizione perché si renda disponibile ad una strategia comune.
Mentre le principali associazioni ambientaliste rafforzano le critiche alla strategia del Governo Berlusconi («non si difende l'Italia gonfiando i dati » accusa Greenpeace) non mancano gli esperti che certificano le tesi esibite dal nostro Esecutivo. La ricetta Ue produce un paradossale controsenso: penalizza l'Italia proprio per la sua efficienza a vantaggio dei paesi più spreconi. Lo afferma in una nota Sergio Miotto, presidente del comitato organizzatore del Rome Energy Meeting.
«Hanno perfettamente ragione i ministri Prestigiacomo e Ronchi»: con il metodo adottato da Bruxelles, che non tiene conto dei Paesi che hanno una maggiore efficienza energetica «per i quali ogni più piccolo miglioramento ha un costo altissimo», l'Italia «si troverà a pagare un sovracosto eccessivo per dare un apporto modestissimo» alla difesa del clima. «Secondo i dati che presenteremo il 13 e 14 novembre – anticipa Miotto – se si fosse tenuto conto dell'efficienza energetica dell'Italia avremmo dovuto ridurre le emissioni di anidride carbonica pro-capite per il 7% e non per il 13% attribuito al nostro paese».
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