Centrali a carbone: mercurio e radioattività
Mentre si definiscono le convenzioni tra gli enti elettrici e le amministrazioni locali, argomenti di carattere economico vengono giustamente ed ampiamente trattati nelle dichiarazioni dei soggetti istituzionali e delle parti sociali.
Al contrario il tema della salute collettiva, della popolazione e dei lavoratori, con le sue ricadute economiche non sembra per ora aver trovato sinora uno spazio proporzionale alla sua importanza.
È in corso un’indagine della magistratura sulla deposizione di polveri di carbone nei terreni prossimi al nastro trasportatore. Le poveri di carbone sono state largamente studiate per i loro effetti sui lavoratori delle miniere di carbone. Se ne conosce perfettamente la composizione, peraltro molto complessa, costituita da una parte organica ed una minerale.
Nella parte organica oltre la componente tipica (lignite piuttosto che bituminoso o antracite) vi sono metano, fenoli, benzene, idrocarburi policiclici aromatici. La parte minerale è costituita prevalentemente da ossidi di silicio (quarzo) che si ritengono i principali responsabili degli effetti dannosi a carico del sistema respiratorio. Un lungo elenco di metalli è presente in tracce e tra questi l’arsenico, il nickel ed il berillio ed il mercurio.
Dalle cronache non sembra che il mercurio sia stato ricercato nelle diverse analisi condotte. A differenza degli altri minerali è difficile che, se presente, possa essere attribuito a fonti diverse dalle attività energetiche.
Il mercurio è un metallo molto tossico per l’uomo anche perché tende ad accumularsi negli organismi viventi. I suoi danni si esplicano principalmente a livello del sistema nervoso.
Il carbone impiegato come combustibile ne contiene mediamente 0.3 mg per ogni chilogrammo. Dal 15-30% del mercurio viene emesso in atmosfera mentre la restante percentuale rimane nelle ceneri pesanti che vengono generalmente impiegate per la produzione di materiale edilizio. Altri componenti degni di nota delle emissioni da combustione del carbone sono gli elementi radioattivi.
Il 90% degli elementi radioattivi emessi dalle centrali a carbone è costituito dal 210 Polonio e dal 210 Piombo.
Il primo impiega più di quattro mesi a dimezzare la propria radioattività, il secondo 22 anni. Il che significa che quando una particella di 210-Piombo, trasportata dalle polveri emesse dalle centrali, si deposita nei polmoni o in qualsiasi parte del nostro organismo, irradierà le nostre cellule per buona parte della nostra vita.
Non devo ricordare a nessuno che le radiazioni sono cancerogene.
Secondo uno studio dell’agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), la via principale di ingresso nell’organismo umano delle sostanze radioattive emesse dalle centrali a carbone è l’ingestione, cioè l'alimentazione, che complessivamente rappresenta il 78 - 98% di tutte le possibili vie di contaminazione, se si utilizzano, secondo alcuni modelli di simulazione, solo prodotti locali. “I prodotti alimentari più significativi ai fini della valutazione della dose di radiazioni sono i cereali e gli ortaggi. In funzione della distanza il contributo alla dose dovuta all’alimentazione diminuisce leggermente, mentre aumenta sensibilmente il contributo dovuto all’inalazione (cioè alla respirazione, ndr) dalla nube. Si noti che, data l’altezza delle ciminiere degli impianti a carbone, il contributo dovuto all’inalazione risulta trascurabile (meno dello 0.1%) a 500 m, ma cresce rapidamente con la distanza raggiungendo circa il 20% a 10 km. Tranne il contributo dovuto all’irraggiamento gamma dai radionuclidi depositati al suolo (1.3-1.8%), le altre vie d’esposizione non danno un contributo significativo”.
Ma qualcuno ha misurato la radioattività al suolo e nei prodotti agricoli?
http://it.wikipedia.org/wiki/Centrale_Edipower_di_Brindisi
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