L’Altamarea dell’indignazione
Torno da un meeting sulla diossina tenutosi in una bella location sul Mar Piccolo: hanno parlato tanti “soloni” delle istituzioni, della finanza, della comunicazione, sono stati sciorinati tanti dati sull’ incidenza di malattia e morte sul nostro territorio, tanti ma non sufficienti, secondo loro, per dare una paternità ai nostri “avvelenatori”, agli “avvelenatori” del nostro mare, della nostra terra e del nostro cielo.
Vado via con la solita sensazione di rabbia, con la solita voglia di urlare ai soloni che i bambini, i giovani che si ammalano e che curiamo nel nostro reparto di ematologia sono tanti, troppi. Vado via con la sensazione terribile che questi meeting vengano organizzati per arginare l’Altamarea dell’indignazione, del senso civico, della presa di coscienza, della rivendicazione ad un lavoro e ad una vita sani.
Vado via con l’orgoglio di non essere un solone, di essere una persona libera, col suo carico di dolore, ma libera e perbene.
Vado via; e sulla strada del ritorno che costeggia il Mar Piccolo vedo un airone cinerino che si alza sul mare e lo attraversa; è bello il mare; è bella Taranto che si staglia lontano; è tutto di una bellezza struggente se riesco ad escludere dalla vista e dal pensiero le grandi fabbriche che incombono sulla città.
“Sai - dico al mio compagno di viaggio – Taranto è come la mela di Biancaneve, bella, ma avvelenata”.
E mi piace indugiare su questa metafora. Anche noi abbiamo cattivi re del profitto e del denaro che si trasformano in vecchi saggi per offrirci “la mela avvelenata”, per ridurci a un silenzio, che è come la morte, che non metta in discussione la loro egemonia e il loro dire: i dati definiti non allarmanti, il lavoro, il mare che comunque è ancora azzurro, l’erba che comunque rimane verde, il benessere...
E per tanti, troppi anni noi, come Biancaneve, ci siamo nutriti dell’ingannevole mela.
Ma l’incantesimo è finito! Abbiamo capito che è un maleficio!
Non ci ha svegliato, purtroppo, il principe azzurro; ci hanno svegliato le terribili malattie, la morte, il lavoro malsano e spesso precario, lo scoprire che “benessere” ha un solo significato: stare bene in salute per poter godere del lavoro e dei frutti del lavoro e che, quindi, non ne abbiamo mai goduto.
E l’Altamarea dell’indignazione, della consapevolezza si alza, diventa prorompente: i dati non saranno significativi per i soloni, ma per noi sì: ogni famiglia di Taranto e della sua Provincia piange un morto di cancro; non sarà certa la paternità di queste malattie, ma la madre è certa: è la grande industria. Il mare è azzurro ma nasconde veleni, l’erba è verde ma le pecore che l’hanno brucata sono state tutte uccise, in una tragica mattanza, perché avvelenate, il lavoro nell’azienda è pericoloso, non porta agiatezza, ma malattia.
Anche il maleficio è finito!
E se la morte e la malattia e il lavoro malsano sono serviti a rompere il maleficio, noi dobbiamo sublimare questo carico di dolore e trasformarlo in forza, la forza del nostro mare quando si gonfia, si arrabbia, si infrange, travolge, fa paura: questa è Altamarea.
E’ la nostra indignazione, il nostro dolore, la nostra rabbia, ma anche la nostra forza di società civile, l’amore per i nostri figli, per i nostri lavoratori delle fabbriche, per Taranto.
La nostra società non ha bisogno di maestri, di cattivi maestri. Noi abbiamo bisogno di testimoni, di persone che testimonino l’onestà, il rispetto per gli altri, la coerenza, l’amore.
Questo dobbiamo testimoniare il 28 novembre, in tanti, in tantissimi: dobbiamo testimoniare la nostra onestà, la nostra vicinanza a chi soffre per la malattia, per la morte, per la mancanza di lavoro, dobbiamo travolgere come un’altamarea chi vuole continuare a mantenere questa città nella miseria culturale e asservita al profitto e al vantaggio di pochi.
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