Quelle fibre killer che ammorbano l'Italia
A parlarci di come si possa aprire più di uno squarcio di luce su tutto questo, ma anche a raccontarci la sua esperienza umana e professionale, la giornalista Stefania Divertito, autrice dell'inchiesta Amianto, storia di un serial killer per la collana Verdenero delle Edizioni ambiente.
Stefania è l'autrice di altri due libri: Il fantasma in Europa ,edito da il segno dei Gabrielli nel 2004, in collaborazione con Luca Leone, sul decennale dalla fine delle ostilità in Bosnia, e Uranio, il nemico invisibile, edizioni Infinito 2005, che le è valso anche l'attribuzione del premio “Piero Passetti” come cronista dell'anno da parte dell'Unione nazionale dei cronisti italiani. Da nove anni lavora al quotidiano Metro, per il quale è ora responsabile della cronaca nazionale con una specializzazione nel settore ambientale sotto tutti i punti di vista, dalla tecnologia al territorio.
Bosnia, uranio, amianto: tre temi fondamentali trattati in modo esaustivo, senza mai scordare l'attenzione per ogni singola storia, trattata con una vicinanza e una sensibilità sorprendenti. Come ci riesci?
Anzitutto, visto che ormai la gente tocca i cornetti e fa gli scongiuri quando mi vede, voglio rassicurare tutti dicendo che la prossima volta pubblicherò un romanzo o una raccolta di racconti, visto che ne ho scritti più di settanta (sorride, e come parziale spiegazione di quest'affermazione rimarchiamo la sua appartenenza partenopea, napoletana per la precisione).
Scherzi a parte, ho da sempre una grande ammirazione per i Balcani, terre che adoro, culturalmente ricchissime, i cui abitanti, nonostante la miseria, sono ancora dotati di un senso civico che, senza generalizzare, non vedo purtroppo nella mia Napoli. L'interesse per l'ambiente l'ho sempre avuto, e c'è un tema di terza media a dimostrarlo: parlavo di disastri ambientali con l’uomo che rovina l’ambiente, e penso tuttora che questa sia la cosa più sciocca che l’uomo possa fare e che sia un reato contro l’umanità stessa. L'esperienza nel campo militare per trattare la questione dell'uranio impoverito, invece, ha contribuito a liberarmi da molti preconcetti sul mondo militare.
Quali preconcetti?
Anzitutto che i soldati che vanno in missione in qualche modo se la siano cercata, correndo incontro al rischio: penso sia vero che molti ragazzi del sud abbiano bisogno di soldi e partano per questo. Dopo però sentono crescere dentro di loro un ruolo sociale che li riscatta da studi non brillanti e delusioni, e li rende molto orgogliosi. Quando molti di loro al ritorno si sono ammalati e hanno visto che l’apparato militare li ha traditi, loro non hanno perso la volontà di lottare, perché hanno ormai un grande senso dello Stato che hanno trasmesso anche a me. E ancora, ho sempre pensato che il giornalista debba essere estraneo alle persone delle quali tratta, altrimenti perde la capacità di giudizio: conoscendo le storie e le persone delle quali mi sono occupata, ho capito invece che si può avere lo stesso una giusta capacità di distacco anche se avviene un coinvolgimento emotivo.
L'esperienza nel mondo militare è stata il tramite anche per il tuo ultimo lavoro, vero?
È così. Nel 2007 conobbi un comandante di vascello, che era stato inserito in una delle innumerevoli commissioni d’inchiesta che non risolvono mai nulla e che sprecano molti soldi pubblici, il quale mi fece notare che mi stavo occupando di una questione molto minore rispetto a quella centrale: fino a pochi anni fa tutte le navi della marina erano imbottite di amianto e ci sono stati cinquecento morti, dunque in giro per l'Italia ci sono altrettante cause e nessuno se le fila. Lavorai tre mesi su questo argomento, poi pubblicai articoli per una settimana su Metro, che si sono s rivelati fondamentali per entrare nel mondo di questo materiale, ancora più sconvolgente rispetto all’uranio, anzitutto perché interessa tutti, poi perché si sa che è cancerogeno dal 1901, ma è stato bandito in Italia solo nel 1992, con molte deroghe ed una serie di cose che mi affascinano: burocrazia che non funziona, commissioni inutili, malasanità, aspetti chimici e fisici per i quali nutro grande interesse e che mi hanno portato a fare anche degli studi di ricerca.
Sarà una coincidenza che la collana Verdenero per la quale hai pubblicato il tuo lavoro sia nata nel 2007, un anno dopo la pubblicazione di Gomorra, esemplare di ibrido tra racconto e inchiesta, però è innegabile che l'intento di creare un filone narrativamente accattivante su temi scientifici quali l'ecologia e l'ambientalismo possa ripagare. Quale registro hai utilizzato per questo lavoro?
"Amianto" nasce dall'esigenza di un progetto che potessi sentire più personale, perché delusa dal fatto che nel quotidiano per cui lavoro ci sia meno possibilità di investire sulle inchieste e l'approfondimento. Ad uno stile giornalistico che vorrebbe ad ogni riga una notizia ho provato ad affiancare l'aspetto puramente narrativo. Così all'inizio il racconto era incentrato sulla figura di un ispettore giudiziario ispirata a Omero Negrisolo, della procura di Padova, però c'è stato un momento in cui i lettori non avrebbero più distinto tra fantasia e realtà, così ho deciso di incentrarla su di me e la narrazione si è fatta intima e reale.
Ma quanto è ancora attuale il rischio dell'esposizione all'amianto?
C'è una perizia che dimostra che almeno fino al 2005 tutti gli aerei posseggono fino a quarantamila parti con fibre di amianto, così come sono piene d’amianto anche le ruote dei carrelli, perché quando l’aereo decolla la ruota continua a girare e può interferire con le operazioni della cabina di pilotaggio, dunque c’è un pannello di amianto che le isola. E ancora, molti vagoni ferroviari, come dimostrato dal collega Graziano Cetara, ne sono pieni, e anche l'Ilva.
Dal punto di vista del rischio percepito, invece, complici i media, sembra che il problema sia stato risolto.
Invece alla legge 257/92 sono seguite molte deroghe per ogni categoria, ma esistono ancora 32 milioni di tonnellate d’amianto in Italia,che non sappiamo dove siano o dove mettere.
Già, perché in tutto questo non abbiamo parlato di chi gestisce il business dello smaltimento.
Le aziende di smaltimento possono essere un problema: c’è un albo presso cui queste sono certificate, però in Calabria abbiamo riscontrato situazioni di sfruttamento del lavoro e di mancato rispetto delle norme di sicurezza, così come nel Lazio qualcuno diceva di operare una bonifica, invece spostava le lastre da Ladispoli per buttarle in una discarica di Fregene e intascare i proventi del trasporto fittizio.
E per quanto riguarda il corso troppo spesso deviato della giustizia?
Purtroppo in questo paese rischia di non esserci una vera giustizia: vedersi riconosciuta l'esposizione è molto complesso, tanto più che i processi-express metteranno a rischio l'esito di molte sentenze, perché la preterintenzionalità giocherà un ruolo fondamentale. E le class-action, che saranno implementate solo a gennaio, non saranno neanche retroattive.
Ma in tutta questa vicenda hai registrato esempi positivi?
A parte la tenacia di vittime e parenti, ho visto ottimi esempi di sensibilizzazione e di comunicazione sul territorio da parte delle associazioni, ho potuto conoscere l'esperto avvocato Ezio Bonanni di Latina, che ha in mano tremila cause e ha ottenuto risultati impensabili. Un solo esempio: prima di lui tutti i marittimi dovevano impigliarsi in un'ottusa burocrazia per dimostrare l'esposizione, ma siccome è stato dimostrato che fino ad un certo periodo tutte le navi erano coperte d'amianto, ora basta dimostrare di aver navigato su quelle navi, e per farlo basta esibire il libretto di navigazione, per poter chiedere il riconoscimento dell’esposizione. Certo tutto questo ha costi pesanti per la collettività, ma è un atto sociale dovuto. E poi da poco tempo il Codacons si è accordato con l'avvocato americano Cohen Mitchell, che va in giro per il mondo a raccogliere denunce contro le lobbies dell'amianto, con ottimi risultati.
Sei una giornalista navigata, rubami il microfono per una riflessione sulla professione.
Sono molto frustrata perché anche nel giornale per cui lavoro non si riesce più a investire tempo e risorse per realizzare inchieste, nonostante l'estrema libertà di cui ho goduto in questi anni. Sono quindi sempre più colpita dall’alto livello di qualità del giornalismo locale, mentre non mi entusiasma molto leggere Repubblica o il Corriere e persino il Fatto, che scrive cose molto belle ma racconta ancora pochi fatti. Proprio parlando con te o con colleghi come il già citato Cetara, del Secolo XIX, è possibile sentire la volontà di restare sulla notizia anche dopo averne già scritto il giorno prima. Se il giornalismo ancora vive è grazie a esperienze come la tua. Ben vengano le dieci domande di Repubblica a Berlusconi, però io voglio leggere cosa succede sul territorio e questo esiste solo sulla stampa locale, dove i giornalisti interpretano bene il concetto di glocalismo.
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