Ero partita con l’unico scopo di allontanarmi dalla pazza folla e rimpannucciarmi in un’isola pressoché deserta, in mezzo all’oceano. Ho scelto Boavista, nell’arcipelago di Cabo Verde. Il piccolo aeroporto che ricorda un fortino legionario, consente un atterraggio alla volta. Così si aspetta l’ok dalla torre, ma nel frattempo si ha modo di vedere dall’alto l’isola che ci ospiterà. E’ il deserto con le sue armoniche dune sabbiose, macchiate a tratti da oasi lussureggianti. Sullo sfondo panettoni rocciosi, qualcuno spalmato di sabbia bianchissima, altri frastagliati, color cacao, che si stagliano contro il cielo repentinamente spazzato, solo accarezzato, oppure sferzato dagli Alisei. Le nuvole non hanno tregua, sono trottole. E’ l’Atlantico mai fermo a dominare il tutto. Si capirà standogli accanto. E’ possibile farlo per tutto il perimetro dell’isola (55 km.).
Le tartarughe di Ervatao
Autore: nadia redoglia
Le spiagge di sabbia finissima coprono in largo e in lungo distese immense, senza l’interferenza dei confini. Il silenzio ovattante è rotto dai tuoni delle onde che giocano a domino. Tessere d’acqua cobalto, celeste, verde, indaco che si sciolgono a riva, ma che si lasciano pur penetrare da chi, col dovuto rispetto della legge del più forte, va loro incontro.
E questa terra che chiamo paradiso -come posso ancora chiamarne (poche) altre, scampate all’ingordigia umana- mi ha consentito di fare parte di storia straordinaria. Seguitemi.
In tutto l’arcipelago capoverdiano si viaggia sui pick-up: 4 all’interno e 6 sulle panche esterne. Certo, insieme all’autista non si mangiano chili di sabbia e polvere e non si fanno compromessi col coccige, in compenso i nostri timpani si renderanno “disponibili” a sentire musica a palla per tutto il tragitto. E’ comunque sempre lungo, perché formato da piste in terra o sabbia, insieme a qualche sparuto tratto di sampietrini. A voi la scelta. La carovana è composta di una decina di pick-up. Si parte, attorno alle 19.30, dalla superconfortevole struttura alberghiera di Praia de Chaves, per arrivare a Praia Ervatao. Il viaggio dura circa un’ora e mezza. Il percorso è mozzafiato. Io faccio parte dei sei all’esterno. A parte il cielo che pare voglia appoggiarsi sulle nostre teste, al punto che se vedi una stella cadere viene istintivo abbassarsi un po’, è buio dappertutto, ma la retina riesce ad acchiappare ciò che lasciamo alle spalle e, soprattutto, ciò che si para davanti, bloccato dalla luce dei fari. E’ un novelliere di montagne che s’intersecano come se volessero ostacolare il percorso, ma poi lasciano spazio alle dune pettorute che subito scompaiono per dare sfogo ai filari d’arbusti già ormai disposti per consentire il passaggio, ma non tutti, sicché (solo) dopo un po’ le nostre teste imparano a schivarli. A pochi metri da Ervatao la carovana si ferma. Gli autisti coprono i fari con plastica rossa. Da quel momento in poi l’uomo e i suoi mezzi si mettono in subordine a ciò che sta per accadere. Noi stessi siamo vestiti con abiti scuri: il buio e il silenzio sono indispensabili. Un’unica fonte luminosa sarà data da particolari dispositivi che emettono luce rossa: le altre, flash fotografici inclusi, sono assolutamente vietati. Incontriamo l’accampamento di “NATURALIA Capa Verde Lda”. Ci accolgono i biologi marini e i loro assistenti (per la maggior parte sono volontari che si alternano periodicamente). E’ arrivato il momento di ricevere istruzioni per accompagnare le tartarughe caretta-caretta nella deposizione delle loro uova.
Le tartarughe di Ervatao
Autore: nadia redoglia
La spiaggia di Ervatao (pr. Ervaton) è la terza al mondo dopo l’isola di Masirah (Oman) e Keys (Florida) per il numero di tartarughe (circa 3mila) che qui sceglie, tra maggio e settembre, la culla dei suoi piccoli. Questo luogo fu scoperto pochi anni fa. Il centro “Naturalia”, sostenitore appassionato del turismo eco sostenibile, è riuscito grazie anche all’appoggio governativo e agli operatori turistici che lo sostengono, a creare un’importante oasi di protezione. Le tartarughe, sottoposte all’inserimento di microchip, prelievi ematici, controlli e misurazioni del carapace, sono così annoverate in un vero e proprio centro anagrafico. Si scopre così che le maestose signore ritornano sempre. Ciò significa che quelle tartarughe non si mischieranno mai con le tartarughe di altre parti del mondo. La loro migrazione si spinge nelle zone d’alimentazione (Sierra Leone, Guinea Bissau, Mauritania) mentre la riproduzione avviene in acque capoverdiane. Quando sono pronte lasciano il mare per trascinarsi decine di metri sulla sabbia. Ed è qui che comincia la loro fatica estenuante (perdono circa il 30% del loro peso per compiere l’intera operazione). Quella notte c’ero anch’io, accucciata a terra, dietro alla prima che mi è stata indicata. Con le pinne posteriori e anteriori inizia a scavare per raggiungere una profondità di circa 80 cm. Il lavoro è lungo. E’ stanca, si riposa un po’. Il liquido amniotico si sparge nel terreno. Dopo circa un quarto d’ora sporge la sua cervice uterina e la deposizione inizia. Eccolo il primo! Grande pressappoco come una pallina da golf, lucidissimo, bianco. A regolari intervalli di qualche secondo seguono tutti gli altri. Possono arrivare oltre ai 100. Ne ho contati 94.
Le tartarughe di Ervatao
Autore: nadia redoglia
Durante la deposizione la madre è in trance, non si accorge di chi le può stare attorno. Le sono vicina e l’accarezzo. Ogni tanto emette dei lunghi sospiri, socchiude gli occhi, ma resta immobile. Sono commossa fino alle lacrime. Mi viene sottoposto un uovo: è morbido, solo così può preservarsi intatto, scivolando da quell’altezza. Scatto qualche foto, ma non ho gli strumenti adatti per ben riprendere. Proseguo a starle vicino. Esaurita la deposizione, prosegue a compiere gli ultimi sforzi che dureranno almeno un’ora: deve richiudere il nido per proteggere i piccoli dai predatori, prima di ritornare al suo mare. Inizia con le pinne posteriori, si sposta di circa un metro per proseguire con le anteriori. Le usa come pagaie e scaraventa in aria palate di sabbia. Naturalmente io me ne sono ricoperta. Questa straordinaria magia l’ho ancora seguita con altre madri, rischiando di perdermi nel buio totale del luogo. La maggior parte di queste uova sarà poi prelevata dai biologi e depositata nei nidi appositamente preparati. E’ il solo modo per dare una mano ai piccini a sopravvivere più numerosi che non alla schiusa del nido natale, dopo incubazione di circa 54 giorni. Le spiagge sono ricche d’uccelli famelici e a riva branchi di pesci attendono i piccoli che corrono verso le acque basse dell’oceano. Ma l’animale più feroce rimane ancora l’uomo, incurante della loro estinzione e, in assoluto, menefreghista di mantenere l’eco sistema.
Non saprò mai se da quella decina d’uova che ho “deposto” nel nido n. 59, già preparato dagli amici delle tartarughe per attendere la schiusa attorno al 22 settembre, nasceranno quelle piccole creature tra le più antiche della Terra, ma ancora amanti di nuova vita e, perciò, accompagnate al mare da chi le protegge.
Mi basta sapere che in quel punto piccino del pianeta c’è una parte della loro storia e, grazie a loro, anche della mia.
Sociale.network