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Intervista a Vandana Shiva

Contadini il futuro siete voi.

L'ingegneria genetica non è una soluzione alla fame nel mondo semplicemente perché non si guarda ai contesti locali, non si guarda alla biodiversità, non si fanno i giusti calcoli.
21 febbraio 2004
Carlo Petrini
Fonte: La Stampa 1.02.04 e
6.02.04

Stiamo organizzando per il prossimo ottobre (2004) a Torino il meeting "Terra Madre - Incontro mondiale tra le comunità del cibo". Coinvolgerà soprattutto i semplici lavoratori della terra e della produzione alimentare: circa cinquemila persone da tutto il mondo in rappresentanza delle loro comunità. Penso che i princìpi per il passaggio a un sistema agro-alimentare ecologicamente e socialmente sostenibile passino necessariamente dall'umile lavoro di queste persone: immagino che il loro apporto sarà illuminante.

Che cosa ne pensa Vandana Shiva?

"Questo meeting dovrà essere l'espressione sociale di tutte le teorie che studiano le alternative sostenibili all'agricoltura industriale e che vogliono delle regole commerciali per un mondo più equo. La prospettiva sociale costituisce un nuovo tipo di approccio alle problematiche relative al cibo e all'agricoltura, diverso da quello meramente politico. Inoltre queste persone sono i migliori rappresentanti della piccola produzione agricola in ogni parte del mondo: è giunto il momento di assumerne la centralità assoluta nel quadro globale. Queste microeconomie che partono dal basso sono quanto mai fondamentali. Con la centralità della piccola produzione agricola e il supporto di una filosofia condivisa, che si sviluppa intorno ai temi della biodiversità, dello sviluppo sostenibile e dell'agroecologia, si sarebbe davvero in grado di predisporre i prossimi passi per un'azione concreta, basata su una visione completamente nuova dell'agricoltura".

L'idea del meeting è quella di dare molta rilevanza agli aspetti culturali e di conoscenza di queste persone, nel tentativo di realizzare e conservare una diversità indispensabile. Lo faremo partendo dal loro semplice vissuto, cioè dalle tematiche relative alla coltivazione dei loro prodotti, all'allevamento dei loro animali, ai loro modi tradizionali di trasformare e conservare la materia prima. In sostanza avremo di fronte le loro economie di piccola scala, cercando di favorire il confronto su analoghi tipi di lavoro che avvengono in diversi luoghi del pianeta.

"Secondo me le organizzazioni politiche e sindacali che rappresentano queste persone hanno già raggiunto un alto livello nel promuovere le istanze del mondo contadino. Adesso è il momento di dare forma alle conquiste politiche, ma tali soggetti si trovano in una fase stagnante: il prossimo livello di cambiamento del mondo agricolo e produttivo del cibo deve essere soprattutto locale, includendo una mobilitazione culturale intorno al lavoro e alla dignità dei produttori e alla stima di se stessi. Un valore propositivo e non di semplice negazione verso il sistema in atto. Quindi la scelta di concentrare le tematiche di dibattito e d'incontro sui semplici metodi di lavoro comparati è secondo me una scelta di grande valore culturale. Ad esempio, portare il vissuto dei contadini che hanno subito la biopirateria sul mais in Messico, confrontandolo con la realtà dei coltivatori dello stesso prodotto italiani o statunitensi, mi sembra un momento di sensibilizzazione più forte che un discorso fatto di semplici affermazioni politiche".

E questo è anche quello che propone la teoria agroecologica, che non si basa su regole valide per tutti, ma sulla complessità dei vari sistemi agricoli. Un intervento che si incarna nella diversità specifica delle culture locali, tenendo conto delle conoscenze di queste comunità e della biodiversità naturale che hanno alle spalle. Si tratta quindi di piccoli passi all'interno delle differenti culture. "Terra Madre" dovrà comunicare questo tipo d'immagine, mettendo in evidenza l'incontro tra le diversità.

"E' un approccio che tiene conto delle grandi lezioni che ci può dare la biodiversità: come ad esempio il fatto che coltivare per produrre cibo non deve essere necessariamente un'attività in perdita, ma può generare profitto e benessere tanto nei paesi più poveri che in quelli più ricchi. Oppure che il mondo non è un continuo conflitto di culture come sembra apparire dai report dei media: questo fa emergere soltanto le identità negative dei popoli, cioè quello che non sono e non devono essere gli esseri umani. Noi siamo l'identità di un pianeta, le nostre culture, le nostre biodiversità che si armonizzano. Penso che, addirittura, la biodiversità possa insegnarci a mantenere delle democrazie vive, che funzionino bene a livello locale, integrate in un'unica comunità terrestre capace di riconoscere il valore delle reciproche differenze, celebrando la diversità che ognuno di noi porta con sé".

La straordinarietà di "Terra Madre" è che riuscirà a illustrare la complessità e la ricchezza del patrimonio alimentare del pianeta. Tutto ciò in piena sintonia con il Salone del Gusto, che si svolgerà in contemporanea a Torino proprio in quei giorni di fine ottobre.

"Il sistema globale del cibo ci ha convinti che i prodotti importanti siano soltanto quattro o cinque, giusto quelli che rappresentano le commodities principali nel commercio mondiale. Invece è necessario mostrare la grande varietà di prodotti su cui si basa e si può basare la vita delle comunità agricole e produttive del cibo. È un fronte che va aperto e un tabu che va sfatato: a novembre dello scorso anno in India abbiamo organizzato un evento nazionale a Delhi, in cui tutte le comunità che si occupano di conservazione della biodiversità hanno portato i loro prodotti. Abbiamo visto centinaia di varietà di riso, di grano e dei suoi derivati, di legumi, di fagioli, di miglio, di cetrioli, di tè, oppure i tanti dolcificanti naturali. Lo sapevi ad esempio che in India è stata addomesticata la canna da zucchero e che abbiamo dei dolcificanti non industriali che non causano il diabete e che non danno problemi a chi ne soffre?".

Questa varietà di prodotti e risorse contiene le soluzioni naturali ai problemi alimentari causati dalla rincorsa alla produzione industriale in agricoltura ed è la migliore dimostrazione che la terra ha naturalmente a disposizione le risorse per auto-alimentarsi. Ciò dimostrerebbe che non è necessario chiudersi in produzioni massive, insostenibili e di bassa qualità o, peggio ancora, fare affidamento sugli Ogm per la soluzione alla fame nel mondo.

"Gli Ogm e i prodotti chimici sono tutti figli di errori del passato e di un sistema globale molto, troppo, centralizzato. L'ingegneria genetica non è una soluzione alla fame nel mondo semplicemente perché non si guarda ai contesti locali, non si guarda alla biodiversità, non si fanno i giusti calcoli. E questo modo di vedere le cose creerà ancora maggiori problemi in futuro, ne sono sicura. I prodotti chimici per l'agricoltura sono le vere armi di distruzione di massa, visto che, tra l'altro, hanno le loro radici nella ricerca in campo militare. Penso che nei paesi ricchi, il settore del cibo rifletta un modello obeso. E non soltanto perché le persone che consumano cibo industriale, quello trattato in maniera globale, corrono maggiori rischi di diventare obesi. Il modello è obeso dall'inizio alla fine, riflette una gigantezza sbilanciata. È una grandezza indesiderabile, come ad esempio quella di una sola compagnia che controlla le forniture di semi ai contadini del mondo. Il 93% dei semi geneticamente modificati che crescono nel mondo sono della Monsanto. Penso ci sia qualcosa di sbagliato, che perpetra ignoranza, se cinque compagnie commercializzano tutto il nostro cibo. Questi pochi enormi soggetti scrivono le regole dei nostri commerci secondo i loro interessi, Interessi che distruggono il pianeta, la nostra salute e la vita dei contadini".

In questo contesto dobbiamo riaffermare che la centralità del mondo contadino diventa imprescindibile. Per troppo tempo i contadini sono stati considerati l'ultima ruota del carro: è necessario lavorare per favorire un rinnovato orgoglio, un forte senso di appartenenza a quelle comunità che in qualche modo rappresentano "l'umana provvidenza". Oggi queste persone si sentono vilipese, sono avvilite, in molti luoghi del mondo sono talmente disperate da arrivare a suicidarsi.

"Sì. A Cancun, il 10 settembre scorso, la prima cosa che è successa, alle dieci del mattino, è stata la vicenda del contadino coreano che si è suicidato di fronte al mondo. Il WTO uccide letteralmente i contadini, non metaforicamente: in India negli ultimi anni si sono tolti la vita circa venticinquemila lavoratori della terra. Non hanno le risorse sufficienti ad acquistare i semi delle compagnie multinazionali, che costano troppo e che distruggono i loro già esigui bilanci familiari. Anche i pesticidi e i fertilizzanti indispensabili per allevare questi semi hanno prezzi proibitivi. Dovrebbero bastare questi dati a far comprendere a tutti che la biodiversità rappresenta la sicurezza per i contadini di poter crescere i semi che hanno selezionato loro stessi a costo zero, senza denaro speso in "armi di distruzione di massa"".

Si è da poco concluso il World Social Forum a Mumbay, in India. Si tratta di un movimento nato dalla protesta e dalle istanze dei contadini del mondo ai tempi del WTO di Seattle nel 1999. Ora trovo che il Forum si sia molto più "urbanizzato". Come lo giudichi a questo punto della storia e rispetto al meeting che vogliamo organizzare?

"Io continuo a restare dentro il movimento perché è arrivato in una fase critica, che necessita di passi avanti importanti. Mi sembra che oggi le tensioni al suo interno prevalgano sull'obiettivo comune: c'è sempre qualcuno che vuole dimostrare di essere più radicale degli altri e il movimento tende a sfaldarsi un po'. Questo comincia a dare agli osservatori esterni una percezione negativa ed è ciò che non vorrei: oggi bisogna tenere duro sulle posizioni raggiunte, per riuscire poi a trovare lo spazio per andare avanti in maniera più concreta. L'impostazione fortemente culturale del meeting che organizzate - sia a livello basilare, con il confronto sulle conoscenze antiche legate ai prodotti, sia a livello "più alto", facendo emergere il valore delle diversità culturali che le comunità produttive portano con sé - è una cosa nuova e che parte dal basso: è decisamente in controtendenza rispetto a una crescente ignoranza planetaria. Saprà anche dare linfa alle riflessioni che girano attorno al movimento, soprattutto perché il livello culturale è un modo di affrontare le cose che tende a unire le persone, mentre il livello politico purtroppo genera sempre divisioni".

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