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L’esperienza di un mondo diverso

21 febbraio 2004
Eugenio Orsi

Io, come tanti altri, sono un ambientalista di città, nel senso che studio, parlo, scrivo, partecipo a manifestazioni e faccio un po’ di politica. Ma questo non è l’unico modo per prendersi cura del proprio pianeta, anche l’ambientalismo è a sua volta un mondo e fra le varie sensibilità che lo compongono ne esiste anche una chiamata "ecologia profonda", o "deep ecology". L’approccio profondo dà grande risalto a tutte le forme di vita sostenendo l’eguale dignità dell’uomo e della natura, senza subordinare questa a quello, ma al contrario riconoscendone l’intima interconnessione.

In quest’ottica non sono pochi quelli che hanno tentato una strada di pacificazione con l’ambiente naturale attraverso un ‘ritorno a casa’, abbandonando la vita urbana e abbracciandone una più scomoda e autentica fra i mille animali, piante e mestieri dimenticati della civiltà contadina.

Martin ed Etain hanno lasciato le loro metropoli e da anni fanno i contadini alla vecchia maniera, escludendo le tecnologie industriali, ispirandosi al criterio dell’autosufficienza e del minor impatto possibile. Vivono con passione una vita re-inventata nell’affascinante flusso della vita, fra i campi e i boschi della loro valle.

La troppa curiosità mi ha spinto ad andarli a trovare.

Ecco il racconto di quelle giornate:

Lo sportello automatico della corriera si spalanca di fronte a via Valdichiascio, nella campagna tra Perugia e Gubbio. Mentre la corriera si allontana alle mie spalle e il gelo invernale mi rinfresca la faccia, alzo il naso verso le stelle dove trovo una luna luminosa che si gonfia e che tra pochi giorni sarà piena. Sotto i miei piedi l’inizio di una strada bianca che comincio a percorrere coi miei scarponi verdi. La luna è così sorprendente che gli alberi lasciano le loro ombre nere disegnate sulla terra sotto di loro; anche la mia ombra è una sagoma precisa che ricalca il mio corpo e si conclude col disegno del cappello. Cammino e vedo la luce della luna e poi la strada bianca sotto di me. Guardo prima l’una, poi l’altra, la luna e la strada, e realizzo d’un tratto che emanano la stessa vibrazione di colore: in mezzo a questa valle tinta di nero dalla notte, c’è una strada piccola il cui manto è lastricato di roccia di luna;_ e io la sto percorrendo!

L’aria che mi circonda mi sembra altrettanta gioia che inspiro e consegno al resto del corpo. Questa sensazione esclude le stelle che stanno tranquille e lontane, investite da questa luce lunare che non mi fa distinguere l’una dalle altre.

Continuo la mia marcia discendendo lentamente la valle sino ad intravedere la mia meta, il podere di Pratale, mi avvicino sino quando riesco a guardare dentro una finestra e riconosco Etain con altre quattro persone indaffarate con la cena. Anzi mi accorgo che questo è il momento importante, un poco febbrile, in cui un pentolone passa dalla stufa al tavolo, significando inequivocabilmente che la cena è pronta. Infatti loro sono troppo assorti per sentire il mio saluto che attraversa il vetro della finestra ed entra nel calore del cucinone. Un secondo saluto meno timido fa si che da dentro si accorgano che lì sulla finestra, c’è uno tutto imbaccuccato con sciarpa e cappello che si sta annunciando. Benvenuto! Non potevo arrivare in un momento migliore la cena è appena in tavola, e io pure._

Pratale è un luogo che si può chiamare in tanti modi: ecovillaggio, comune, casa aperta, ma tutti questi nomi evocano significati un po’ impropri, per cui i suoi abitanti hanno deciso di dire semplicemente che Pratale è un podere gestito in modo biologico.

Martin ed Etain hanno costruito la casa in cui vivono da soli, con l’aiuto di molti amici. Ne è venuto fuori un bel casolare di legno e sasso ad un piano solo, a forma di c, che ha superato indenne i terremoti del 97-98. L’indomani mi sveglio presto, attraverso il cortile nel cui mezzo vive un simpatico gelso ora nudo per affrontare l’inverno, e vado in cucina curioso di cominciare questa gelida, tersa giornata di inizio gennaio. Mentre bevo il latte vedo spuntare da sotto la finestra sei orecchie lunghe e marroni. ‘Non ci sono solo le orecchie: sono montate su degli asini!’- Scherziamo- ‘Dovremmo friggere quelle orecchie in padella. Sai che croccanti…’ Gli asini - Otello, Titania e Olivia - vanno oltre, e ora dalla finestra si vedono arrivare le pecore con quei musi particolarissimi che sembra sempre siano lì lì per parlare e rivelarti chissà quale verità misteriosa.

Seguo Martin alla stalla delle pecore. Volevo una vita più naturale e cosa c’è di più naturale della cacca?!

Il pavimento della stalla è completamente ricoperto da uno spesso strato compresso di letame e fieno che va tolto con i forconi un paio di volte l’anno. E’ un lavoro lungo che facciamo insieme tra una chiacchiera e l’altra. Mi sorprende che lo strato finale del letame sia già quasi completamente compostato, praticamente è già terra nuova._

Quando scarico l’ultima carriola di cacca sotto questo cosmo profondo e azzurro le mie budella cigolano rivendicando il pranzo. Le budella hanno ragione e quale miglior appetito dopo lo sforzo fisico. Non esiste al mondo un libro così ponderoso e pesante che possa stimolare un miglior appetito di quello indotto dal lavoro del corpo.

Mentre il sole inizia la sua strada per toccare l’orizzonte, sulla collina dall’altro lato della valle, io imbraccio la sega per far legna.

Segando la legna medito semplicemente sulla relazione tra la zuppa che ho mangiato a pranzo e l’energia che scaturisce dalle mie braccia.

Potrei usare una motosega! - Realizzo d’un tratto. Con un minor sforzo e in minor tempo potrei tagliare una quantità enormemente maggiore di quella di cui c’è bisogno qui per la stufa. Inoltre, ragionando in prospettiva,_ciò mi darebbe più tempo libero che ad esempio potrei usare per andare in paese a vendere la legna in eccedenza. Con il denaro accumulato mi potrei permettere motoseghe più efficienti e magari anche aiutanti. Se poi gli affari girassero nel verso giusto potrei anche arrivare a vendere tutta la legna di questa valle. A questo punto e dopo tutto questo lavoro, il tempo libero e i soldi non mancherebbero e potrei godermi finalmente un soggiorno di riposo in qualche paradiso incontaminato dei tropici, visto che questa valle l'ho appena distrutta dedicandola al commercio.

Arrivato al termine di questo ragionamento non sento più il bisogno di motoseghe, motozappe o aratri meccanici. La sega a mano continua a scorrere in un ceppo di quercia sprigionandone l’odore che mi arriva alle narici. Nel silenzio del crepuscolo, io penso alla storia dei luddisti, a quest’epoca dominata dalla tecnica e alla cena di sta sera.

Tra poco la luna tornerà a dominare la notte, l’erba gelerà sino al tardo mattino.

Domani vangherò l’orto.

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