La Banca Mondiale si spacca sul petrolio
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Da una parte la lobby del settore estrattivo. Dall'altra indigeni, sindacati, ong e ambientalisti
C'era una volta una banca che venne istituita per aiutare i paesi più arretrati. Finanzia che ti finanzia, la meritevole istituzione è diventata sinonimo di neo-colonialismo. Con i suoi soldi - che sono i nostri - sono state pagate opere faraoniche catastrofiche, implacabili riforme strutturali ed è stato sovvenzionato un settore energetico capace di produrre 48 miliardi di tonnellate di C02, ovvero il totale delle emissioni mondiali dell'anno 2000. A cinquant'anni dalla sua fondazione la Banca Mondiale ha mancato il suo obiettivo e la povertà continua a regnare proprio nei paesi più ricchi di risorse energetiche: carbone, petrolio e gas naturali. Che senso ha continuare a finanziare il settore estrattivo se non porta sviluppo?
Nel settembre del 2000 il presidente della Banca Mondiale James Wolfensohn decise che era il momento di cercare di rispondere a questa domanda. Vennero messi in moto due processi di revisione: uno interno alla Banca e l'altro affidato a Emil Salim, ex ministro dell'ambiente indonesiano e consigliere di Kofi Annan al Vertice sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg. Il lavoro di consultazione della Extractive Industries Review presieduta da Salim, che ha raccolto i punti di vista di tutti gli attori coinvolti nel settore estrattivo - dalle corporation ai sindacati, dalle comunità indigene alle ong - è giunto ad alcune conclusioni estremamente gravi.
Prima di tutto le principali beneficiarie dei soldi della Banca Mondiale in questo settore sono fra le più ricche corporation del mondo, che non hanno certo bisogno di soldi pubblici. Inoltre richiedono il sostegno della Banca soprattutto nei progetti più a rischio, ovvero proprio nelle aree dove gli abusi sui diritti umani sono molto frequenti. Il rapporto dell'Eir ha quindi caldamente raccomandato il ritiro della Banca da questo settore che, non soltanto non produce sviluppo, ma alimenta abusi e corruzione. La seconda considerazione riguarda i mutamenti climatici che danneggiano soprattutto le popolazioni dei paesi con un'economia pre-industriale. Anche in questo caso l'Eir non esita a suggerire una nuova rotta: smettere immediatamente di finanziare i progetti di estrazione del carbone, sganciarsi gradualmente dal settore petrolifero - di qui al 2008 - e buttarsi nel settore delle energie rinnovabili, passando dal 6 al 20 per cento delle risorse.
Il rapporto sembra destinato a provocare una grave spaccatura all'interno della Banca Mondiale. Da una parte, ovviamente, c'è l'enorme pressione del settore estrattivo. Dall'altra ci sono tutti gli altri: indigeni, sindacati, ong e ambientalisti, cui si sono aggiunte le voci di ben sei premi Nobel per la pace - Desmond Tutu e Rigoberta Menchu sono fra questi. Il tema è incandescente perché la Banca rischia di giocarsi in questa partita il nuovo corso inaugurato già da qualche anno. Si tratta soltanto di una "verniciata di verde" oppure è in atto una revisione delle proprie politiche di finanziamento allo sviluppo? Dopo cinquant'anni appare chiaro che le grandi corporation sembrano sprovviste di quella famosa mano invisibile che dovrebbe redistribuire la ricchezza globale. Se a questo si aggiunge anche la crisi ambientale, nel quale il settore estrattivo gioca un ruolo di primo piano, è ovvio che occorre un segnale forte.
La Banca Mondiale deve insomma dimostrare che uno sviluppo sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale può esistere, e per farlo deve candidarsi a leader di una "globalizzazione dal volto umano". Se durante le riunioni che si terranno a Washington la prossima settimana, gli "amministratori" degli ingenti fondi decideranno di tenere conto dei suggerimenti del rapporto da loro stesso commissionato, daranno credito a chi sostiene che la Banca è in qualche modo riformabile. Altrimenti daranno ragione a chi accusa quell'organismo di essere semplicemente lo strumento di un pugno di multinazionali che utilizzano i soldi dei contribuenti per finanziare la distruzione del pianeta e delle comunità locali.
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