"Selvatico e coltivato"
La nostra anima, di Gary Snyder
Introduzione, di Jaqueline Fasssero
La nostra anima
di Gary Snyder.
( ... ) Ci sono due tipi di sapere.
Uno è quello che ti radica e ti colloca nel tuo contesto fisico. Sai distinguere il nord dal sud, il pizzo dall'abete, sai in quale punto sorge la luna nuova, da dove viene l'acqua e dove vanno i rifiuti, sai stringere una mano, affilare un coltello e come funzionano i tassi d'interesse. Questo tipo concreto di conoscenza può contribuire a migliorare la vita pubblica e a salvare le specie in via d'estinzione. Acquisiamo questa conoscenza dando nuova vita alla cultura, processo simile al riabitare: ritornare in un luogo maltrattato e quasi dimenticato: ripiantando alberi, decanalizzando i corsi d'acqua e rompendo l'asfalto. "E se"; dicono alcuni, `non restasse più niente della `cultura?": Resta sempre, così come c'è sempre (non importa dove) un luogo e una lingua. La cultura è nella famiglia e nella comunità ed emerge quando ci mettiamo insieme per fare del lavoro vero, oppure per giocare, o per raccontare storie o recitare - quando qualcuno si ammala, muore o nasce - oppure in occasione delle festività. Una cultura è una rete di conoscenti o di comunità che ha radici e di cui ci si prende cura. Ha dei limiti ed è ordinaria. "È una persona colta" non dovrebbe significare "d'élite"; al contrario, dovrebbe voler dire qualcosa di simile a `ben fecondata":
L'altro tipo di conoscenza discende dallo spingersi oltre i confini. Thoreau, a proposito del melo selvatico, scrive: `Il nostro melo selvatico è selvatico come lo sono, per caso, io, che non appartengo alla razza aborigena di qui ma che, proveniente da un ceppo coltivato, mi sono perduto nei boschi": John Muir sviluppa lo stesso pensiero.
In Wild Wool (Lana Selvatica) cita le parole di un amico agricoltore: "La cultura è una mela coltivata, la natura è una mela selvatica": (Ritornare selvatici significa diventare acidi, astringenti, arcigni, non concimati, non potati, forti, elastici, e, ogni primavera fioriti di una bellezza sconvolgente). Oggi praticamente tutti noi siamo ceppo coltivato; ma possiamo di nuovo perderci nei boschi. Lasciamo la casa per intraprendere una ricerca interiore in una wilderness, una selvaticità archetipica che è pericolosa, minacciosa, piena di belve e di estranei ostili. Questo genere di incontro con l'altro - sia interno che esterno - richiede di abbandonare comodità e sicurezze, accettare freddo e fame ed essere disposti a mangiare qualsiasi cosa. Può darsi che tu non riveda più la tua casa. La solitudine è il tuo pane quotidiano. Le tue ossa potrebbero affiorare, un giorno, nel fango sulla riva d'un fiume. In cambio dona libertà, crescita e scioltezza. Slegato. Scollato. Pazzo per qualche tempo. Rompe i tabù, porta sull'orlo della trasgressione, insegna l'umiltà. Camminare - digiunare, cantare da soli - comunicare attraverso i confini tra specie e specie -pregare - ringraziare - ritornare.
Sul piano mitico è questa la fonte di tutte la narrazioni, diffuse in ogni parte del mondo, sul viaggio dell'eroe. Sul piano spirituale questo processo ci chiede di abbracciare noi stessi nell'altro, di attraversare il confine: non "diventando una cosa sola" o mescolando tutto con tutto, ma tenendo delicatamente presenti l'identità e la differenza. Ciò può portarti a vedere le case, le strade e le persone del tuo luogo d'origine come se fosse la prima volta. Può significare ascoltare ogni parola fino nelle sue eco più profonde. Può far sgorgare lacrime misteriose di gratitudine. La nostra "anima" è il nostro sogno dell'altro.
(da: "ThePractice of theWild';NortbPointPress, 1990. Trad. it. "Nel mondo selvaggio"; Red Edízioni, 1992)
Introduzione
di Jacqueline Fassero
A tutti gli amici,
Provenienti da luoghi diversi d'Italia siamo stati in tanti a partecipare a questo lavoro per tentare di rispondere, dando voce alle nostre esperienze, a una domanda che potremmo riassumere con queste parole: difendere la Terra, come?
Il nostro scopo è stato raggiunto: abbiamo raccontato e messo in luce la varietà colorata dei paesaggi, delle forme di vita e dei sentimenti, ma soprattutto ci siamo ricordati che abbiamo in comune la consapevolezza che la nostra crescita dipende dalla terra che ci nutre.
Ogni storia sembra connettersi alle altre per la forza che la pervade e per la volontà di rispettare e di difendere tutto ciò che è ancora vivo. Le descrizioni concordano sull'importanza di mantenere o salvare termini che hanno perso col tempo la loro identità perché nessuno li curava più. Molti fra noi sono dei ri-abitatori che hanno cambiato stile di vita per ritornare ai ritmi naturali del lavoro della terra. Per loro è stato fondamentale descrivere un percorso lungo e laborioso che li ha portati, dopo anni e tante fatiche, a raccogliere i frutti, a far prosperare gli orti e pascolare gli animali che animano i prati. Ora, molte stagioni sono passate, le famiglie sono cresciute e alla sera tutti , si sentono soddisfatti conversando intorno alla tavola. E' ritornato il linguaggio della selvaticità, il richiamo profondo delle radici che ci collegano attraverso i mondi sotterranei e cosmici. Siamo nel bel mezzo, con i piedi per terra, visibili e invisibili, immobili e mobili, nel/a rete senza inizio e senza fine, immersi in una danza rivolta alla
Terra. difenderla è il grido di tutti noi viventi: piante, rocce e animali. I paesaggi del nord, del centro e del sud sono fatti di montagne che ti guardano con l'occhio amorevole della madre, di frutteti che sembrano divertirsi giorni e notti, di cieli silenziosi e profondi, di animali che guizzano tra le erbe, e dei nostri passi lenti per andare al lavoro. Sprizza gioia da tutte le parti, una leggera ebbrezza dovuta ai profumi dei fiori, della terra, delle erbe, dei dolci e del pane. La poesia ci e fatta arma per difendere la Terra.
Quelli che vivono nelle città hanno dimostrato quanto lo spazio del selvatico non abbia confini, esso si diffonde ovunque si crei uno spiraglio di vita, attecchisce e cresce in forme e luoghi impensabili, e chi li sa riconoscere si trova a parlare lo stesso linguaggio di chi vive lontano, sulle colline. Pertanto non ci sono segni di rottura tra un pensiero venuto dalla terra lavorata e un pensiero venuto dalla città. Al contrario, la molteplicità dei luoghi ha creato, come per magia, la diversità e l'unicità nella partecipazione.
Ogni luogo, ogni esperienza si rivela sacra, il centro di un mondo caratterizzato da una fisionomia e una cultura propria, con i suoi significati; e nel contempo questo luogo è in comunicazione con un altro luogo, un altro centro caratterizzato da innumerevoli altre risorse. Riconoscendo l'esistenza delle diverse realtà delle nostre quotidianità, ne abbiamo colto la ricchezza e l'unicità, e conservato la nostra memoria quale eredità culturale. Abbiamo colto l'anima del luogo dove abitiamo, mente e corpo si sono fusi in un atto profondo d'amore e di gratitudine verso questa terra che ci ha donato la vita, la quale racchiude le leggi cosmiche.
Difenderla implica tutto questo, nella piena consapevolezza che esiste un'altra realtà molto insidiosa, quella della perdita delle identità, della distruzione delle culture con i loro paesaggi uniformi, prossimi ai deserti. E' proprio per cercare di trasformare questa visione dominante che ogni racconto assume il ruolo di "attrattore strano"; dando un contributo ad un pensiero dinamico, creativo e costruttivo. Non si tratta di propagandare vaghi miti di ritorno ai tempi passati, bensì di riflettere sulle nostre condizioni di vita odierna, sulle loro radici, e di agire nel modo più aperto possibile comunicando fra noi, tutti i viventi, in collaborazione, con umiltà e rispetto, riscoprendo quei valori, sì antichi, essenziali alla comprensione della complessità e delle difficoltà del nostro mondo. Un vero impegno, un "programma politico" che servirà a stabilire un patto di alleanza gioiosa con la Terra.
Tratto da Selvatico e coltivato, ed. Stampa Alternativa, pp. 191, € 10,00. www.stampalternativa.it
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