Ambiente, un impatto davvero insostenibile
gennaio 2004
Il problema demografico è uno di quei classici temi che necessita di essere affrontato con una visione fortemente transdisciplinare. La popolazione attuale di 6.3 miliardi di abitanti si è andata costituendo con un crescendo assolutamente impressionante. Un solo secolo, quello che abbiamo lasciato da pochi anni alle spalle, è cominciato con una popolazione di 1.6 miliardi d'abitanti ed è finito con oltre 6 miliardi. Se pensiamo che il primo miliardo è stato raggiunto ai primi dell'Ottocento e che la nostra specie si ritiene abbia intorno ai 150.000-200.000 anni di vita (anche se specie di Ominidi sono presenti sulla Terra da oltre 4 milioni di anni e specie del genere Homo sono presenti da un paio di milioni di anni) non possiamo non renderci conto della straordinaria escalation numerica della nostra specie su questo pianeta. A questo dato di partenza (che secondo le previsioni più aggiornate dell'Ufficio statistico delle Nazioni Unite, vengono aggiornate e riviste ogni due anni, prevedono una proiezione media della crescita della popolazione che dovrebbe condurci ad avere 8.9 miliardi di abitanti nel 2050) non possiamo trascurare di considerare il pesante impatto sui sistemi naturali del pianeta.
Da quando le superfici emerse della Terra sono state colonizzate dalla presenza umana le stesse non hanno certo modificato le loro proporzioni né si è registrato alcun incremento di quelle che noi definiamo "risorse" e che sono la base delle nostre economie, né parimenti, vi è stato un incremento dei servizi che gli ecosistemi forniscono alla vita umana (dalla rigenerazione del suolo al mantenimento della composizione chimica dell'atmosfera, dal ciclo delle acque alla fotosintesi, senza la quale la stessa vita sulla Terra non esisterebbe, tanto per citarne solo alcuni). Anzi è purtroppo avvenuto il contrario. L'intervento umano che si è fatto straordinariamente massiccio e pervasivo dalla Rivoluzione industriale ad oggi, ha letteralmente trasformato la superficie terrestre (oggi secondo i dati pubblicati sulla prestigiosa rivista "Bioscience" nell'ottobre 2002 dal gruppo di Eric Sanderson che ha cercato di individuare quello che viene definito Human Influence Index, attraverso i dati da satellite, risulta che l'83% della superficie terrestre è influenzata da uno o più fattori di intervento umano), ha straordinariamente modificato il flusso di energia e materia che attraversa i sistemi naturali del pianeta, ha drammaticamente impoverito la ricchezza della vita sulla Terra (la biodiversità), ha causato una modificazione dei cicli naturali da chiusi ad aperti, con incredibili produzioni di scarti e rifiuti, gran parte dei quali non "metabolizzabili" dagli stessi sistemi naturali.
I più autorevoli progetti di ricerca internazionali che analizzano i cambiamenti globali e le loro dinamiche nei sistemi naturali (l'International Geosphere Biosphere Programme, l'Human Dimensions of Global Environmental Change, il World Climate Research Programme, e l'International Programme on Biodiversity - DIVERSITAS -) sono giunti recentemente a preoccupanti conclusioni che ogni decisore politico dovrebbe conoscere a fondo. Nella grande conferenza "Challenges of a Changing Earth" tenutasi ad Amsterdam nel 2001, hanno sottoscritto un manifesto comune in cui, tra l'altro, si legge :" Le attività umane stanno influenzando l'ambiente del pianeta in molti modi che vanno ben oltre l'immissione in atmosfera di gas a effetto serra e i conseguenti cambiamenti climatici. I cambiamenti indotti dalle attività antropiche nel suolo, negli oceani, nell'atmosfera, nel ciclo idrico e nei cicli biogeochimici dei principali elementi, oltre ai cambiamenti della biodiversità, sono oggi chiaramente identificabili rispetto alla varibilità naturale. Le attività umane sono perciò a tutti gli effetti comparabili, per intensità e scala spaziale di azione, alle grandi forze della natura. Molti di questi processi stanno aumentando di importanza ed i cambiamenti globali sono già una realtà del tempo presente. [...] I Cambiamenti indotti dalle attività antropiche sono causa
di molteplici effetti che si manifestano nel Sistema Terra in modo molto complesso. Questi effetti interagiscono fra di loro e con altri cambiamenti a scala locale e regionale con andamenti multidimensionali difficili da interpretare e ancor più da predire. Per questo gli eventi inattesi abbondano. La dinamica del Sistema Terra è caratterizzata da soglie critiche e cambiamenti inattesi. Le attività antropiche possono, anche in modo non intenzionale, attivare questi cambiamenti con conseguenze dannose per l'ambiente planetario e le specie viventi.[...] Le attività antropiche hanno la capacità potenziale di fare transitare il Sistema Terra verso stati che possono dimostrarsi irreversibili e non adatti a supportare la vita umana e quella delle altre specie viventi. La probabilità di un cambiamento inatteso nel funzionamento dell'ambiente naturale non è ancora stata quantificata ma è tutt'altro che trascurabile. [...] Il ritmo sempre più accelerato dei cambiamenti imposti dalle attività antropiche all'ambiente planetario non è oggi più sostenibile. Il modo corrente di gestione del Sistema Terra non è più un' opzione percorribile e deve essere al più presto sostituito con strategie di sviluppo sostenibile che possano preservare l'ambiente naturale e, allo stesso tempo, perseguire obiettivi di sviluppo sociale ed economico." Questo è quanto sottoscrivono i programmi di ricerca più autorevoli del mondo, patrocinati dall'International Council for Science (ICSU), l'organizzazione che riunisce tutte le società scientifiche disciplinari del mondo ma è, soprattutto, quanto condividono gli scienziati che direttamente fanno ricerca sui sistemi naturali.
La dichiarazione di Amsterdam, come la straordinaria massa di pubblicazioni prodotte in questi ultimi decenni dai maggiori scienziati che, ripeto, si occupano direttamente della ricerca sul campo, non lasciano alcun dubbio e dovrebbero impegnare seriamente qualsiasi decisore politico a mettere al primo posto dell'agenda politica questi problemi, la cui mancata soluzione ora non farà che aggravarli nel futuro.
L'ultimo rapporto annuale sullo stato del pianeta curato dal Worldwatch Institute ("State of the World 2004", della cui edizione italiana sono curatore da quando riuscii a farlo editare nel nostro paese, dal 1988) è completamente dedicato al problema del consumo, ai modelli di produzione e consumo delle nostre società industriali ed al loro impatto sui sistemi naturali. Oggi sui 6.3 miliardi di esseri umani che vivono sulla Terra almeno 1.7 possono essere assimilati alla "classe dei consumatori", caratterizzata da una dieta, da sistemi di trasporto e da stili di vita che sono stati limitati alle ricche nazioni dell'Europa, del Nord America e del Giappone nell'ultimo secolo.
In questa classe vi sono anche 240 milioni di cinesi ed oltre 100 milioni di indiani. Ma ancora circa 2.8 miliardi di persone vivono con una disponibilità economica di meno di 2 dollari al giorno.
Il tema della popolazione non può essere affrontato se non tenendo conto simultaneamente dell'aspetto quantitativo, la semplice crescita numerica, e dell'aspetto qualitativo, le tipologie di stili di vita, di modelli di produzione e consumo, la nostra personale "impronta ecologica" che lasciamo sul pianeta rispetto al nostro stile di vita. E' quindi evidente che non vi è soluzione a questi problemi se non attraverso una forte modificazione delle politiche economiche che non possono più ignorare di "tenere in conto" la natura, le sue risorse, le funzioni ed i servizi degli ecosistemi che consentono alla nostra specie di vivere su questo pianeta.
E' evidente che queste problematiche dovrebbero essere ai primi posti nelle agende politiche che, invece, ad esse dedicano solo conferenze internazionali, dichiarazioni troppo spesso ricche di retorica, ed obiettivi scadenzati che, rispetto all'inazione che pervade i potenti della Terra, rischiano drammaticamente di rimanere sulla carta.
* Segretario aggiunto
per gli affari scientifici
e culturali, WWF Italia
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